Scritto sui banchi

02 ottobre 2005

Patatine e compagni di banco, immigrati

“Da Mc Donald, mamma. Ci dobbiamo andare per forza. Non ci provare a fare la no global con noi!”. Troppo svegli questi bambini di oggi. A sette anni mio figlio già mette in crisi i miei insegnamenti. Crisi poi! Io da Mc Donald li ho sempre portati. Anche se più e più volte ho tentato di spiegargli come funzionano le cose, lì, nel mondo dell’I’m love in it. Gli ho detto che quell’amore così universale e globale era una finta, un trucco da bravi maghi del colore e delle immagini.
Il nostro pranzo da Mc Donald alla stazione di Napoli si consuma in un tavolino a ridosso di altri quattro. Di fronte a noi una cinesina tiene in mano una scatolina rossa come se fosse un panino, addentando le patatine che le sfuggono di qua e di là. Alessandro sembra un tedesco accanto ad una famigliola di nordafricani con le bambine “ricoperte di treccine”, Paolo guarda ammirato il vassoio stracolmo dei nostri vicini americani. Li guardo e penso che loro il mondo stanno imparando a conoscerlo così. In scala uno a uno tra i tavolini di un fast food.
Per almeno tre anni, quando frequentavo la scuola elementare, la maestra ci faceva partecipare ai concorsi tipo “disegna l’Europa”. Noi facevamo girotondi di bambini e bandierine. Ci mettevamo eschimesi, cinesi, africani. L’Europa, ma non sapevano davvero cosa fosse, ce la immaginavamo così. Ci suggerivano di immaginarcela così: con bambini di tutto il mondo che si davano la mano. Che venivano dall’Africa e dal Polo Nord a fare il girotondo in Europa. Sullo sfondo blu del cartellone.
Nello spazio dei giochi da Mc Donald a Caserta, le capriole e i salti dei miei bambini si contraggono in un universo molto più ridotto. Una breve ragnatela di scale, reti e scivoli di cinque metri quadri in cui incontrano - diciamo si buttano e ricevono addosso - tutti i bambini della provincia: belli, chiassosi, irruenti, mai stanchi, sempre sudati. Conoscenze che durano una sera, ma che regalano un frasario e un catalogo di imprese che non dimenticheranno facilmente.
“Tendete la mano ai compagni immigrati”, ha detto Ciampi in apertura dell’anno scolastico. Mio figlio comprende il significato del termine “immigrato” così come io alla sua età comprendevo la parola “Europa”. Con la differenza però che lui gioca con Nicole, saluta un lavavetri diventato suo amico e regala i soldini agli slavi che vengono a suonare “O sole mio” sotto casa nostra la domenica mattina. “La scuola renderà cittadini gli stranieri. Il dialogo vinca l’intolleranza”. Io li trovo sempre condivisibili i discorsi di Ciampi. Credo ci sia una profondità e una ricchezza molto più intensa di quello che sembra a prima vista. “Tendete la mano ai compagni immigrati”. Non possiamo fare diversamente. Ce ne sono 360 mila nelle scuole italiane. Anche se poco presenti al Sud. Ma come? Come renderli cittadini – non solo gli immigrati, ma anche gli italiani - quali parole utilizzare per tessere dialoghi capaci di vincere l’intolleranza?
“Lo sai che le patatine di Mc Donald hanno un poco di zucchero e un poco di sale proprio per piacere a tutti?”. Ma guardalo, quel furbetto di mio figlio che sta ripetendo i miei discorsi per attaccare bottone con la bambina “ricoperta di treccine”. Un poco di zucchero e un poco di sale. Però! Non dico sia una cosa fattibile a scuola, questo no. E probabilmente neanche condivisibile. Ma il doppio dosaggio delle patatine mi insegna che una strada bisogna comunque cercarla.


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