Quattro ruote da bucare
E poi mia madre prese la patente. O meglio la patente l’aveva già, ma con tre figlie da portare a scuola decise di guidare. E comprò un’automobile. Una automobile da professoressa di lettere: la 126. Turchese, quel turchese intenso che io ricordo di aver visto sulle 126. Una donna al volante, nel mio paese, trent’anni fa, non era così comune. Io ero affascinata e terrorizzata allo stesso tempo. Le emozioni svanivano appena entrate in macchina, con la levetta da tirare su e la frizione da spingere giù, in un sincronismo complicato e imperfetto. I primi minuti erano soprattutto di preghiera: speriamo si metta in moto questa macchina, speriamo di riuscire ad arrivare a scuola puntuali. Sino a quando il rumore del motore si spandeva per strada e… era fatta, finalmente.
Un giorno, alla fine delle lezioni abbiamo trovato le ruote tagliate. Una scena mai più dimenticata: la macchina stanca, fiacca sui cerchioni di metallo, quasi arresa. Mia madre invece si è arrabbiata da morire. E’ salita su in presidenza attraversando in senso inverso il fiume di ragazzini che si precipitavano dalle scale e ha riferito l’accaduto alla preside. Secondo lei era stato un alunno che proprio il giorno prima era stato sospeso: aveva rubato alla stazione di servizio durante la sosta della gita scolastica.
“Hanno tagliato le ruote alla macchina della professoressa”. Il mattino dopo, i suoi alunni, commentavano concitati l’accaduto. La Preside ha fatto convocato tutte le classi che avevano partecipato alla gita: un’ora filata di rimproveri. Senza mai fermarsi. Ha minacciato di convocare tutti i genitori, ha detto che per un anno intero nessuno sarebbe andato da nessuna parte, che i vandali non avevano il diritto di restare a scuola. Non ricordo molto altro. Se non mio padre dal gommista, le ruote cambiate, la rabbia piano piano sbollita e le solite preghiere silenziose la mattina: speriamo si metta in moto, speriamo di non fare tardi.
La settimana scorsa hanno raschiato la macchina di un mia amica insegnante. Una strisciata tirata con un punteruolo, una lunga ferita sul grigio metalizzato della sua Yaris parcheggiata nel cortile della scuola. La mattina non c’era, è sicuro, sono stati gli alunni. Lei c’è rimasta male, si è intristita così tanto che non ne ha parlato con nessuno. E’ stato un caso che io me ne sia accorta. E mi ha raccontato l’accaduto. Cadenzando il discorso di tante domande. Perché l’hanno fatto? Non c’è stata nessuna ammonizione, non sono neanche iniziate le prime interrogazioni, non c’era nessuna vendetta da attuare? Perché?
Tre giorni fa un’altra automobile rigata, a destra e a sinistra. Di nuovo nel cortile della scuola. Questa volta è toccato ad un professore. Furioso è andato dal preside, ha raccontato cosa è successo, ha chiesto di fare qualcosa per far venir fuori il colpevole, di chiamare i genitori, che si rendano conto almeno di quello che fanno i figli, e comunque lui ha dei sospetti. “Professore, lo interrompe il preside, mica vogliamo farci denunciare per calunnia o per diffamazione! Se ha le prove ebbene, altrimenti io non posso fare niente. Guardi che qui siamo noi a finire nei guai”. Trattenendo a stento un paio di imprecazioni, il collega ha mandato a quel paese il capo di istituto. Ed è uscito senza salutare nessuno. Schifo di scuola, ha pensato entrando in macchina. Ed è andato dal carrozziere per quantificare il danno.
Accanirsi contro le macchine degli insegnanti. Sembra un’attività abbastanza vecchia e comunque per nulla originale. Quello che fa pensare è l’atteggiamento passivo, rinunciatario, se non timoroso degli adulti. Succubi e rassegnati alla violenza. Sembra impensabile poter dire: quello che avete fatto non ci piace, lo troviamo disdicevole, ci offende. Siamo succubi persino dell’indulgenza. E così i ragazzi continuano a cercare altri punteruoli con cui rigare le auto e noi a pronunciare le nostre silenziose litanie: speriamo che passi presto quest’anno, speriamo di avere il trasferimento.
E a insegnare chi ci pensa nel frattempo?
Un giorno, alla fine delle lezioni abbiamo trovato le ruote tagliate. Una scena mai più dimenticata: la macchina stanca, fiacca sui cerchioni di metallo, quasi arresa. Mia madre invece si è arrabbiata da morire. E’ salita su in presidenza attraversando in senso inverso il fiume di ragazzini che si precipitavano dalle scale e ha riferito l’accaduto alla preside. Secondo lei era stato un alunno che proprio il giorno prima era stato sospeso: aveva rubato alla stazione di servizio durante la sosta della gita scolastica.
“Hanno tagliato le ruote alla macchina della professoressa”. Il mattino dopo, i suoi alunni, commentavano concitati l’accaduto. La Preside ha fatto convocato tutte le classi che avevano partecipato alla gita: un’ora filata di rimproveri. Senza mai fermarsi. Ha minacciato di convocare tutti i genitori, ha detto che per un anno intero nessuno sarebbe andato da nessuna parte, che i vandali non avevano il diritto di restare a scuola. Non ricordo molto altro. Se non mio padre dal gommista, le ruote cambiate, la rabbia piano piano sbollita e le solite preghiere silenziose la mattina: speriamo si metta in moto, speriamo di non fare tardi.
La settimana scorsa hanno raschiato la macchina di un mia amica insegnante. Una strisciata tirata con un punteruolo, una lunga ferita sul grigio metalizzato della sua Yaris parcheggiata nel cortile della scuola. La mattina non c’era, è sicuro, sono stati gli alunni. Lei c’è rimasta male, si è intristita così tanto che non ne ha parlato con nessuno. E’ stato un caso che io me ne sia accorta. E mi ha raccontato l’accaduto. Cadenzando il discorso di tante domande. Perché l’hanno fatto? Non c’è stata nessuna ammonizione, non sono neanche iniziate le prime interrogazioni, non c’era nessuna vendetta da attuare? Perché?
Tre giorni fa un’altra automobile rigata, a destra e a sinistra. Di nuovo nel cortile della scuola. Questa volta è toccato ad un professore. Furioso è andato dal preside, ha raccontato cosa è successo, ha chiesto di fare qualcosa per far venir fuori il colpevole, di chiamare i genitori, che si rendano conto almeno di quello che fanno i figli, e comunque lui ha dei sospetti. “Professore, lo interrompe il preside, mica vogliamo farci denunciare per calunnia o per diffamazione! Se ha le prove ebbene, altrimenti io non posso fare niente. Guardi che qui siamo noi a finire nei guai”. Trattenendo a stento un paio di imprecazioni, il collega ha mandato a quel paese il capo di istituto. Ed è uscito senza salutare nessuno. Schifo di scuola, ha pensato entrando in macchina. Ed è andato dal carrozziere per quantificare il danno.
Accanirsi contro le macchine degli insegnanti. Sembra un’attività abbastanza vecchia e comunque per nulla originale. Quello che fa pensare è l’atteggiamento passivo, rinunciatario, se non timoroso degli adulti. Succubi e rassegnati alla violenza. Sembra impensabile poter dire: quello che avete fatto non ci piace, lo troviamo disdicevole, ci offende. Siamo succubi persino dell’indulgenza. E così i ragazzi continuano a cercare altri punteruoli con cui rigare le auto e noi a pronunciare le nostre silenziose litanie: speriamo che passi presto quest’anno, speriamo di avere il trasferimento.
E a insegnare chi ci pensa nel frattempo?
1 Comments:
premetto che non ho mai fatto niente di simile a tagliare le gomme o incidere la carrozzeria di un'auto di un prof (vi chiamano così adesso no?), ma quando ho lasciato la scuola e mi sono guardato indietro mi sono pentito di un sacco di atteggiamenti da "bullo" che ho avuto nei confronti di alcuni prof, per puro spirito di emulazione, d'inquadramento, se non porti rispetto a un prof sei un figo, se vai troppo bene a scuola sei una femminuccia e allora mi toccava non prendere mai più di un certo voto, studiare il giusto (sono stato sempre promosso con la media del 7 e alla fine ho preso 50/60)... penso che i ragazzi, gli adoloscenti non siano ancora né carne né pesce, hanno troppa paura di farsi vedere per quello che sono, meglio nascondersi dietro a dei "ruoli". se fossi nella tua collega mi preoccuperei solo per i soldi da dare al carrozziere, non m'interrogherei troppo insomma su dove ha sbagliato, credo non abbia sbagliato niente.
Da Anonimo, alle 07 novembre, 2005 12:27
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