Scritto sui banchi

25 aprile 2009

la scuola, i giornali e l'irresistibile bisogno di apparire


Ho trovato il pezzo forte della mia piccola collezione degli orrori (scolastici, s’intende). La mia raccolta, infinita di ritagli di giornale cresce a dismisura. Sui giornali, della scuola si parla sempre. Denigrata – che scuorno i dati sulla pessima preparazione degli studenti del sud; raccontata nei libri e recensita nei quotidiani (io stessa non faccio che raccogliere frammenti di esperienze, metterli uno accanto all’altro, pasticciarli e far venir fuori delle storie); e persino pubblicizzata.
Sarà un vecchio retaggio degli studi passati, ma la pubblicità soprattutto di enti e istituzioni chiamate solo a fare il loro dovere, a me desta sempre qualche sospetto. Una recitina, una manifestazione, un’iniziativa: quello che era un modo per porgere la vita di classe alle famiglie è diventato un rito ostensorio. Non vorrei essere blasfema, ma davvero la recitina viene innalzata dall’officiante- docente o preside davanti agli astanti per mostrare che la scuola sa fare questo e quest’altro.
Tutti bravi, tutti impegnati. Emozioni a fior di pelle e applausi a scena aperta. Benissimo, perfetto.
La scuola merita di essere apprezzata. Quella stessa scuola che altrove è derisa e denigrata.
Si chiama il giornalista, la giornalista – magari conoscente – per l’intervista, per il servizio e la scuola finisce sui giornali. Il giornale finisce nella macchina fotocopiatrice, gira in sala professori, poi magari viene ingrandito, incorniciato e appeso nei corridoi. Doppia pubblicità per la scuola e per i giornali.
Noi siamo qui. Tutti contenti, tutti sorridenti.
O quasi. Perché sui giornali, gli insegnanti, i professori che fanno didattica pura non ci sono mai. Per forza! Sono in classe a tenere la lezione, mica a fare pubbliche relazioni. Va bè, dicono quelli che fanno pubbliche relazioni, mostrando le piastrine delle funzioni di cui sono investite (referente capo della funzione strumentale del piano delle offerte creditizie scolastiche nazionali e internazionali e chi più ne ha più ne metta), noi lavoriamo per voi. Perché senza questa sorta di pubblicità progresso non ci sono neanche alunni, e voi in classe la vostra bella lezione ve la fate da soli.
Quelli della didattica pura neanche rispondono. Prendono i libri dal cassetto ed escono dalla sala professori. Al massimo qualcuno, il più suscettibile, fa qualche mugugno: così però la scuola sembra che la fanno solo quattro o cinque persone, quelli che fanno i progetti. Infatti, così è. Sono sempre loro, “sempre miezz”, a portare l’istituto su un palmo di mano.
Insomma, sembra che siano assunti con contratti diversi, i professori. Per scelta, ovviamente. Tutti possono fare i progetti, i corsi, le manifestazioni. Mica uno può impedire all’altro di esprimersi.
Giusto anche questo. Però: talvolta bisogna essere galanti. Come quando si apre la porta e si fa passare prima la signora. Ecco, prima gli alunni, non è il caso di dimenticarlo. Poi il resto. La processione dei nomi dei prof che hanno dato vita a questo e a quel progetto.
L’altro giorno, giusto per restare in tema religioso (oggi va così) leggo, in grassetto, i nomi dei docenti che avevano organizzato la celebrazione di un precetto pasquale. A cui aveva preso parte tutta la scuola. In cui c’era stata comunione e commozione, partecipazione vera e condivisa. Niente. Non c’è niente da fare. Dall’altare al piedistallo. Ogni occasione è buona per poter mettere in luce un pezzo di bravura. Dopo essersi santificati tutti quanti, da quel pezzo di giornale sono nati malumori, alcuni espliciti alcuni striscianti e sotterranei che adesso, per liberarsi c’è bisogno di un'altra messa. A cui seguirà un articolo di giornale a cui seguiranno altri dissapori. La sola cosa da fare è apprezzare il bello custodito in ogni ricominciamento.
(la foto, bellissima, l'ho rubata dal blog di gabriele romagnoli, una delle penne più interessanti e creative del giornalismo italiano)

12 aprile 2009

a sopresa, pensieri di pasqua


Forse è la vera condizione di tutte le esistenze, la dimensione sismica. L’improvvisa e disarmante scossa tellurica, lo sbriciolarsi delle case e delle cose. E non conta solo la distanza dall’epicentro – o meglio, conta, sì, accidenti (ma le distanze sono di varia natura: fisica, psicologica, culturale) – ma il valore che noi diamo a quello che accade intorno a noi (vicino o lontano che sia).
Dunque, venerdì sera siamo scesi dal pullman distribuendo baci – di affetto – e cannoli – alla ricotta. Cinquanta di noi, tra alunni e insegnanti di ritorno dalla Sicilia. Quattro giorni di paesaggi mozzafiato e e patatine fritte, monumenti immensi e immersi nel verde, passeggiate in centro e mare visto dal finestrino. Quattro giorni di: quando ci fermiamo? E professoressa ma perché si chiama teatro greco se sta in Italia? Che poi Verga dice che non bisogna lasciare la terra in cui si è nati, però scrive i romanzi a Milano. (noi qui siamo ad Acitrezza, il paese in cui è ambientato i Malavoglia)
La gita è una piccola magia. Bisogna ammetterlo a posteriori, e ovviamente è più facile dirlo se tutto è andato bene.
Ma davvero quella della gita - ok, si chiama viaggio d’istruzione, la voce della burocrazia irrompe nei miei pensieri - ma il senso di quel viaggio d’istruzione è che è proprio una gita.
Andare fuori, utilizzare nuovi scenari per guardarsi con occhi diversi, trovare esattamente quello che nessuno si aspettava. Partire con la voglia di divertirsi, con la febbre negli occhi, con la serata in discoteca acquattata nei pensieri, e misurarsi con la stanchezza, con il furto del portafoglio, con l’amico che non è proprio tale, con le stanze che di notte diventano sovraffollate, con gli ultimi posti che mannagga alla miseria sono sempre gli altri a raggiungere per primi, con gli amori che nascono all’improvviso e chissà dove si erano nascosti sino ad allora. E soprattutto, alchimia dell’alchimia delle gite, le scoperte si scoprono con il passar del tempo. Quello che è successo lo capisci veramente una settimana dopo, un mese dopo, talvolta anche di più.
Davvero la gita è molto di più di un viaggio di istruzione. Ma forse anche qualcosa di meno.
In ogni caso è una grande e impagabile palestra di relazione. Tra alunni, tra prof e alunni, tra alunni e autista (‘aspita che personaggio chiave della gita, l’autista!!!), tra prof e autista. Dentro il pullman, rigorosamente gran turismo, cinquanta posti, aria condizionata, etc, si creano tutte le dinamiche comuni a ogni gruppo umano: le alleanze, gli attacchi, in zona cesarini il disfattista, il solitario, il soggettone, quella che si sbatte per farsi notare, l’altra che sta tutto il tempo con il cellulare tra le mani. Capitolo a parte, a cui riservare uno special - trattandosi di una mia personale ossessione -, una vera e propria grammatica del masticare le chewingum (Ne riparleremo, giuro).
Insomma, venerdì siamo scesi dal pullman, stropicciati come i nostri pensieri, sgualciti come i giornali che abbiamo comprato la mattina, pieni di buste e pacchetti, di segreti e stanchezze e ci siamo salutati con la promessa di vederci la settimana sucecssiva. Dopo: il terremoto. E chi ha più avuto voglia di parlare di gita? Che senso aveva rivedere, scaricare e taggare le foto digitali? In mezzo a quella settimana c’era passata una vita. Un fiume di tristezza. Di dolore. Adesso c’era altro da raccontare. I ricordi – già diventati vecchi e cari ricordi – possono aspettare ancora.
Eppure, ogni tanto, come un’onda, le emozioni riaffiorano, qualche foto di tanto in tanto su facebook arriva, e soprattutto, continuano a farci compagnia quelle persone scoperte in gita, quei sorrisi adesso in formato jpg, la complicità che nasce scegliendo insieme ad una collega il regalo da portare a casa (pesto ai pistacchi o alle melanzane? Pistacchi, è meglio. Compriamo tutti i gusti? Ok!), la simpatia che nasce tra prof e studenti quando si tirano fuori portachiave a forma di scarpa all stars (per mia sorella), t shirt con Il padrino di Coppola (per mio cugino), braccialetti di cuoio (per tutta la classe, così stiamo sempre insieme). E ancora: guardare insieme un balcone fiorito, spiegare cos’è una grottesca, dire per l’ennesima volta che l’essenza del barocco è la meraviglia – e citare Marino: chi non vuol stupir vada alla striglia (l’abbiamo studiato un mese fa! Come non ve lo ricordate?), mangiare un arancino sul traghetto, guardando la spuma bianca. Tutte queste cose così, questi frammenti di una gita, continuano a raggiungerci mostro malgrado. E si sente che in qualche modo, inavvertitamente, sorreggono qualcos’altro. Sono sempre vere sorprese: ecco perché le gite si fanno sotto Pasqua. A proposito: auguri.

07 aprile 2009

Concorso di scrittura creativa per gli studenti della provincia di Caserta



Quest’anno scolastico si è aperto con il centenario della nascita di Cesare Pavese. Un’occasione per rileggere le sue opere e riscoprirne l’attualità.
Ispirandovi a questa frase dello scrittore – “Una passione per la vita in quanto vita” - scrivete un testo che racconti, con creatività e passione, storie ed esperienze di vita vostre e dei vostri coetanei.
Potete scegliere tra: un racconto (max due pagine, cioè 3600 battute compreso gli spazi bianchi), una poesia (max 30 versi), o un articolo giornalistico (max 3 pagine, cioè 4500 battute compreso gli spazi bianchi).
Fra i testi pervenuti saranno selezionati tre vincitori, un per ogni categoria: narrativa, poesia, giornalismo.
La giuria è composta dal Dirigente scolastico e dagli insegnanti dell’ITC C. Pavese. La premiazione si svolgerà a maggio, nel corso di una giornata dedicata a Cesare Pavese. In palio buoni libro e la pubblicazione dei testi più originali e interessanti sul sito della scuola.



I testi vanno consegnati - entro il 30 aprile - a mano, inviati per posta all’indirizzo, o per e mail:
Progetto “Centenario della nascita di Cesare Pavese”
PREMIO DI SCRITTURA CREATIVA – ITC C. PAVESE
Via Vivaldi – 81100 Caserta

uygabb@tin.it
Oltre al testo dovete indicare i vostri dati (nome, cognome, data di nascita, numero di telefono ed e mail, classe e indirizzo della scuola frequentata).Non sarà possibile prendere in considerazione i materiali con dati mancanti o incompleti, o pervenuti dopo il termine.
Informazioni e contatti sul sito della scuola: www.itcpavese-ce.it




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