Scritto sui banchi

12 aprile 2009

a sopresa, pensieri di pasqua


Forse è la vera condizione di tutte le esistenze, la dimensione sismica. L’improvvisa e disarmante scossa tellurica, lo sbriciolarsi delle case e delle cose. E non conta solo la distanza dall’epicentro – o meglio, conta, sì, accidenti (ma le distanze sono di varia natura: fisica, psicologica, culturale) – ma il valore che noi diamo a quello che accade intorno a noi (vicino o lontano che sia).
Dunque, venerdì sera siamo scesi dal pullman distribuendo baci – di affetto – e cannoli – alla ricotta. Cinquanta di noi, tra alunni e insegnanti di ritorno dalla Sicilia. Quattro giorni di paesaggi mozzafiato e e patatine fritte, monumenti immensi e immersi nel verde, passeggiate in centro e mare visto dal finestrino. Quattro giorni di: quando ci fermiamo? E professoressa ma perché si chiama teatro greco se sta in Italia? Che poi Verga dice che non bisogna lasciare la terra in cui si è nati, però scrive i romanzi a Milano. (noi qui siamo ad Acitrezza, il paese in cui è ambientato i Malavoglia)
La gita è una piccola magia. Bisogna ammetterlo a posteriori, e ovviamente è più facile dirlo se tutto è andato bene.
Ma davvero quella della gita - ok, si chiama viaggio d’istruzione, la voce della burocrazia irrompe nei miei pensieri - ma il senso di quel viaggio d’istruzione è che è proprio una gita.
Andare fuori, utilizzare nuovi scenari per guardarsi con occhi diversi, trovare esattamente quello che nessuno si aspettava. Partire con la voglia di divertirsi, con la febbre negli occhi, con la serata in discoteca acquattata nei pensieri, e misurarsi con la stanchezza, con il furto del portafoglio, con l’amico che non è proprio tale, con le stanze che di notte diventano sovraffollate, con gli ultimi posti che mannagga alla miseria sono sempre gli altri a raggiungere per primi, con gli amori che nascono all’improvviso e chissà dove si erano nascosti sino ad allora. E soprattutto, alchimia dell’alchimia delle gite, le scoperte si scoprono con il passar del tempo. Quello che è successo lo capisci veramente una settimana dopo, un mese dopo, talvolta anche di più.
Davvero la gita è molto di più di un viaggio di istruzione. Ma forse anche qualcosa di meno.
In ogni caso è una grande e impagabile palestra di relazione. Tra alunni, tra prof e alunni, tra alunni e autista (‘aspita che personaggio chiave della gita, l’autista!!!), tra prof e autista. Dentro il pullman, rigorosamente gran turismo, cinquanta posti, aria condizionata, etc, si creano tutte le dinamiche comuni a ogni gruppo umano: le alleanze, gli attacchi, in zona cesarini il disfattista, il solitario, il soggettone, quella che si sbatte per farsi notare, l’altra che sta tutto il tempo con il cellulare tra le mani. Capitolo a parte, a cui riservare uno special - trattandosi di una mia personale ossessione -, una vera e propria grammatica del masticare le chewingum (Ne riparleremo, giuro).
Insomma, venerdì siamo scesi dal pullman, stropicciati come i nostri pensieri, sgualciti come i giornali che abbiamo comprato la mattina, pieni di buste e pacchetti, di segreti e stanchezze e ci siamo salutati con la promessa di vederci la settimana sucecssiva. Dopo: il terremoto. E chi ha più avuto voglia di parlare di gita? Che senso aveva rivedere, scaricare e taggare le foto digitali? In mezzo a quella settimana c’era passata una vita. Un fiume di tristezza. Di dolore. Adesso c’era altro da raccontare. I ricordi – già diventati vecchi e cari ricordi – possono aspettare ancora.
Eppure, ogni tanto, come un’onda, le emozioni riaffiorano, qualche foto di tanto in tanto su facebook arriva, e soprattutto, continuano a farci compagnia quelle persone scoperte in gita, quei sorrisi adesso in formato jpg, la complicità che nasce scegliendo insieme ad una collega il regalo da portare a casa (pesto ai pistacchi o alle melanzane? Pistacchi, è meglio. Compriamo tutti i gusti? Ok!), la simpatia che nasce tra prof e studenti quando si tirano fuori portachiave a forma di scarpa all stars (per mia sorella), t shirt con Il padrino di Coppola (per mio cugino), braccialetti di cuoio (per tutta la classe, così stiamo sempre insieme). E ancora: guardare insieme un balcone fiorito, spiegare cos’è una grottesca, dire per l’ennesima volta che l’essenza del barocco è la meraviglia – e citare Marino: chi non vuol stupir vada alla striglia (l’abbiamo studiato un mese fa! Come non ve lo ricordate?), mangiare un arancino sul traghetto, guardando la spuma bianca. Tutte queste cose così, questi frammenti di una gita, continuano a raggiungerci mostro malgrado. E si sente che in qualche modo, inavvertitamente, sorreggono qualcos’altro. Sono sempre vere sorprese: ecco perché le gite si fanno sotto Pasqua. A proposito: auguri.


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