Scritto sui banchi

13 dicembre 2008

Per quello che posso ricordare, ho frequentato più scuole brutte che belle. Ho fatto i primi due anni del liceo in una ex casa per ciechi, una supplenza in una ex sartoria, in una casa canonica, in un ex ufficio comunale, il primo anno di ruolo ho fatto lezione in un appartamento e adesso insegno in un ex convento. Le scuole sono piene di ex.
O forse le scuole sono esse stesse ex. Soprattutto gli edifici scolastici. Attaccati a quella idea ottocentesca di scuola: una stanza, una finestra, una cattedra, una lavagna e di fronte dei banchi.
Come se insegnare non potesse che avvenire dentro quelle gabbie spaziali. Il docente davanti e gli alunni di fronte. Il Sapere scende dall’alto verso il basso, dall’Uno verso i molti ordinatamente disposti, una bocca parla e trenta, quaranta orecchie accolgono, ascoltano.
Ogni tanto si sente un boato. E allora, insieme al soffitto di una scuola viene giù tutto un mondo di edifici scolastici che fanno semplicemente schifo. Dove tutti i giorni si fa lezione. E si ignora quello che potrebbe accadere. In realtà tutte le scuole belle o brutte prima di incominciare le attività didattiche hanno necessariamente una serie di certificati che ne dichiarano la stabilità, l’adeguamento alle norme comunitarie, e altre amenità burocratiche.
Le carte finiscono nei faldoni in segreteria e: lo spettacolo può incominciare.
Ognuno fa quello che può. E quello che non va è solo una questione di dettagli: le lavagne rotte, gli infissi, gli scantinati pieni di roba, le prese ricoperte con l’adesivo. Ci sono dei presidi più attenti e altri meno fissati con questa storia dei dettagli. Eppure dovrebbero essere loro gli addetti alla ordinaria manutenzione.
Ma c’è qualcosa che non torna. Perché i docenti, gli alunni, i genitori, non si interessano mai dell’aula? Perché non se ne prendono cura – al di là dei tatuaggi con frasi amorose, calcistiche, oscene o filosofiche? Il massimo che può accadere di incrociare sono i cartelloni (scuola elementare e media: spianate di carta di bristol, scritture difformi, colla e relativi avallamenti in controluce); fotografie sotto vetro (alle superiori: soprattutto quelli che fanno i progetti e vogliono mostrare in mondovisione quanto sono bravi e quanto lavorano bene); manifesti di università private, convegni (in via di declino, avete notato? La crisi si sente anche da quelle parti), poster dell’unicef e associazioni benefiche di vario titolo. Le mura diventano un tazebao delle buone intenzioni: noi siamo qui, ma potremmo anche essere lì, siamo vicini, un filo immaginario unisce questo istituto dall’architettura basica al mondo esterno pieno di forme e colori.
Per fortuna ci sono le scuole materne, con le finestre e i corridoi palpitanti di vita, di attività manuali: primissimo piano su quello che fanno i bambini quando sono a scuola. Questo è il loro mondo, i loro colori, i loro disegni, le loro prime paroline. In una parola: il loro sapere, quello vero, non quello con la esse maiuscola. Tenetene conto, sembrano suggerire le maestre ai genitori.
Invece per le scuole superiori tutto è diverso: sono come le villette di Cogne. Anonime e sconosciute, sino a quando Bruno Vespa ha scoperchiato il tetto di una di loro per condurre in coram populo le indagini su un omicidio.
Dopo il crollo del liceo di Rivoli, i soffitti degli edifici stanno volando via soffiati da un grosso vento mediatico. Ne è derivato un colossale check in dell’edilizia scolastica.
E’ assurdo morire a scuola. E’ assurdo morire a scuola. Bisogna ripeterlo più e più volte per sentire la drammaticità che contiene questa frase. Ma è altrettanto scandaloso vedere in quali condizioni si lavora quotidianamente. Uno scempio. E forse questo serve anche a spiegare tanti fallimenti pedagogici. Come si può imparare in uno spazio che ottunde i sensi e offusca la mente per quanto è brutto? Non tutti sono così, certo. Ma che almeno agli alunni che frequentano scuole identificate come edifici a rischio vengano dati più punti di partenza nelle valutazioni Ocse Pisa. Per colmare, da qualche parte, qualche differenza tra chi ha una scuola che funziona e chi no.


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La scuola è un racconto. Scritto sui banchi continua sul web ogni settimana. Con storie, immagini e dialoghi.

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