Scritto sui banchi

09 marzo 2009

l'importanza di dirsi buongiorno

Mi tocca affrontare lo stesso discorso due volte nella stessa giornata. La mattina si apre con una conversazione a proposito dei miei figli. “Sono bambini educati”, mi dice un’insegnante che li ha appena conosciuti. Il mio cuore di mamma sorride compiaciuto, mentre abbasso gli occhi per modestia. (E dentro di me penso: almeno questo!”) E sa da cosa me ne sono accorta? (sentiamo, sentiamo! I miei gioielli…) “Dal fatto che entrano in classe e dicono buongiorno” (tutto qui? Speravo meglio, francamente). “il fatto è che i bambini di oggi entrano in classe e nemmeno salutano. Buttano la cartella sul tavolo e incominciano a parlare, a rincorrersi. Persino un gesto di semplice educazione fa la differenza. E la responsabilità è delle famiglie. Non insegnano più niente, neanche come comportarsi con gli adulti”.
Mah! Io non lo so se è proprio così. Io vedo le mamme che stanno tutto il tempo dietro i figli, che ci perdono la testa tra compiti, dentista, palestra, scuola di ballo. Che cosa sarà mai, insegnare a dire: buongiorno!
Fine mattinata in classe. Hanno fatto festa, tranne quattro ragazzi che hanno avuto un piccolo scontro con un insegnante. Mi raccontano la loro versione dei fatti e alla fine, per rafforzare la negatività del docente, chiosano: “Professoressa, poi quello lì non ci saluta quando ci incontra nei corridoi. Neanche buongiorno!”
E’ che sarà mai diventato questo buongiorno, all’improvviso. Una vera e propria merce di scambio? Una concessione elargita solo a chi se la merita? Un privilegio da centellinare per mezza giornata?
“Sì, professoressa. Qui sono in pochi a salutare gli alunni. In questo corso siete solo in due”.
Due, come i miei figli. Ma il piacere della simmetria cede subito il posto allo sconforto. Davvero siamo così pochi a usare gentilezza ? Un buongiorno dovrebbe essere l’unità minima della relazione tra persone che condividono lo stesso posto di studio e di lavoro.
Funzione fatica o di contatto, si chiama in semiotica il saluto. Serve appunto a stabilire un incontro, a lasciare un segno di disponibilità all’incontro, alla accettazione dell’altro, sino a tracciare – buongiorno dopo buongiorno – un solco che può portare ad una relazione più interessante, forse più intensa. Non siamo noi forse l’insieme delle persone che incontriamo e che portiamo dentro di noi?
Forse dovrei dismettere i panni dell’ottimista e ammettere che noi siamo anche quelli che non salutiamo, che non vogliamo incontrare, che mandiamo a quel paese. Forse.
In ogni caso, o per addizione o per sottrazione, siamo la somma dei buongiorno dati e di quelli negati. E mentre penso a queste cose, salutando con la mano anche le persone che camminano dall’altra parte del marciapiede, piazzandomi davanti a quelle che non mi vedono, ecco che quasi inciampo nella mia collega che già da un anno mi ha tolto il saluto. Un po’ mi secca questa cosa, e ogni volta le faccio un cenno del capo, sorridendo. Sicuramente deve pensare che i miei saluti valgono ben poco, visto che non sono affatto selettiva.
Ignoro le ragioni di questa sua scelta, pur ammirandone la profonda coerenza e l’impegno – ogni volta deve inventare qualcosa per non incrociare il mio sguardo: si schiaccia o si allarga sul marciapiede, finge di parlare con qualcuno, infila la testa nella borsa (e per poco non mi scappa un allegro: cucù!),
Un giorno, proprio per sgravarla da queste fatiche l’ho affrontata direttamente chiedendole il perché
“Io?” - mi ha chiesto candida - “E quando non ti ho salutato? Io non ti vedo proprio… “
Grande, grandissima! Anche se mi priva del suo prezioso saluto non posso non ammirare la sua arguzia e la sua prontezza di spirito (magari no, magari quella frase l’aveva preparata da mesi,provata davanti allo specchio sino a trovare il tono giusto, sino a quando l’ha pronunciata in modo naturaleì) . Mi ha aiutato a capire, però. Un buongiorno non è per tutti un accessorio basico della convivenza umana . Buongiorno significa: tu sei per me qualcuno. E’ diventato uno statuto ontologico, un attestato di esistenza. Per negare l’altro basta sopprimerlo. Un piccolo, quotidiano atto di violenza. Contro gli altri. O piuttosto contro se stessi? Mi serve un giorno intero per pensarci. Precisamente: mi serve un buongiorno.

2 Comments:

  • Al giorno d'oggi, dunque, il buongiorno si nega da bambini (e non è il caso dei suoi)!

    Aforismi scimmiottati a parte, io direi che il saluto educato e discreto è rimasta una delle poche cose a tener legate due generazioni (i giovani e gli adulti) che così spesso si autoescludono.

    Quando mi capita di dare il buongiorno / buonasera ai miei docenti universitari, confesso che mi emoziona alquanto il loro ricambiare: ripongo in esso tutta la stima e la considerazione che ho di loro!

    Da Blogger -clicky-, alle 10 marzo, 2009 12:59  

  • Anche nella mia scuola siamo in pochi a salutare gli alunni e coloro che lo fanno sono gli insegnanti della scuola e non di quella o quell'altra classe!
    E pensare che qualcuno ha scritto che a fine giornata dovremmo chiederci: "Chi ho incontrato oggi"?
    e non "Che cosa ho fatto"?

    Da Blogger Unknown, alle 13 marzo, 2009 17:21  

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