io petrarca e tu...

Li raccontano così: “vestiti come se uno stilista dovesse passare di lì e portarseli in tv”. E in effetti quella stessa mattina, dopo aver letto l’articolo, li trovo in classe con i cinturoni di strass sui jeans, la canotta sopra la camicia, le snakers colorate, tempestate di paillettes, la maglia del Napoli, il braccialetti di legno con le effigi di Padre Pio. In più per guadagnare la visuale d’insieme, devo schivare berrettini da baseball, capelli a spina, matite infilate nelle code di cavallo, spostarmi a destra e a sinistra di continuo per incrociare lo sguardo di quelli delle seconde e terze file.
Insomma, con questo street look ma rivisto e corretto con guizzi personali assai fantasioni, ci avviamo verso la salita del monte ventoso: "Aprite a pag 259". Come da programmazione. E a me quel brano di Petrarca piace tantissimo, e lo considero davvero importante per loro.
Tutto sta nel comprendere alcuni passaggi. E attraversarli, se è possibile.
Petrarca dunque desidera fare questa gita da molto tempo. E’ una montagna difficile da scalare, e forse proprio per questo ne è attratto. Come tutti, anche lui sa che il viaggio dipende soprattutto dai possibili compagni: uno parla troppo, uno troppo poco, uno è lento, l’altro è veloce. Mica semplice scegliere con chi condividere l’avventura. Alla fine decide di andare con suo fratello Gherardo. Meglio rimanere in famiglia.
I due incominciano la salita, insieme ai servi. Ma subito dopo, ecco che Petrarca si scoraggia, non ce la fa, cerca un’alternativa, magari una strada più lunga ma meno ripida. Inutile dirlo, suo fratello è già quasi sulla cima. A questo punto i miei compagni di avventura, l’avventura della lettura in classe, incominciano ad innervosirsi: “Com’è? Ha fatto tutto sto bordello e mo’ nun c’ha fa?”.
Il povero Petrarca arranca ma loro non lo sostengono più, anzi, rivelano grande irritazione per un uomo che non sa mai bene quello che vuole. Finalmente anche il poeta ha raggiunto la sommità del monte, si perde nel paesaggio, si immerge nell’azzurro della lontananza, e poi, invece di contemplare il panorama, "che fa? si mette a leggere!". "Bè, non è il solo che si porta i libri in cima alla montagna". Sguardi di scetticismo si posano su di me. Proseguo. E arrivo finalmente su quella che era la mia personale cima di questa pagina. Petrarca apre il libro di Sant’Agostino e legge – "a caso!" - una frase che fa più o meno: “gli uomini preferiscono guardare il cielo, gli oceani, il mare e trascurano di guardare se stessi”. Dopo di che, il poeta incomincia la discesa e non ha più voglia di parlare con nessuno.
“Ci dessi na mazza ‘ncapa”, dice un ragazzo. Non ne può più di quelle esitazioni, di quel dissidio di cui si nutre lo scrittore.
Altro che bullismo a scuola! Ci manca solo che gli studenti bastonino il mio poeta, distruggano la quiete di valchiusa, di aquà petrarca, e degli altri suoi rifugi. La scena mi si materializza in tutto il suo orrore.
Però poi incominciamo a ragionare, del dissidio ma anche della vanitas, della caducità di tutte le cose. E piano piano, la mazza viene dimenticata all’angolo dell’aula, Petrarca a loro dire è e resta “un complessato”, però ci offre mille spunti di discussione. E parliamo tanto, e bene, di questi testi di cinquecento anni fa, ragioniamo e se passa un critico letterario li prende e li porta via. Perché sanno riflettere, hanno tante idee. Il fatto è che a loro li sfastidia il dissidio, a me viene voglia di difenderli da quelli che li vedono da fuori, tutti uguali e strafatti di niente.
Dovendoci andare, non avrei dubbi sulla compagnia da scegliere per salire sul monte ventoso.