Scritto sui banchi

30 settembre 2007

io petrarca e tu...


Li raccontano così: “vestiti come se uno stilista dovesse passare di lì e portarseli in tv”. E in effetti quella stessa mattina, dopo aver letto l’articolo, li trovo in classe con i cinturoni di strass sui jeans, la canotta sopra la camicia, le snakers colorate, tempestate di paillettes, la maglia del Napoli, il braccialetti di legno con le effigi di Padre Pio. In più per guadagnare la visuale d’insieme, devo schivare berrettini da baseball, capelli a spina, matite infilate nelle code di cavallo, spostarmi a destra e a sinistra di continuo per incrociare lo sguardo di quelli delle seconde e terze file.
Insomma, con questo street look ma rivisto e corretto con guizzi personali assai fantasioni, ci avviamo verso la salita del monte ventoso: "Aprite a pag 259". Come da programmazione. E a me quel brano di Petrarca piace tantissimo, e lo considero davvero importante per loro.
Tutto sta nel comprendere alcuni passaggi. E attraversarli, se è possibile.
Petrarca dunque desidera fare questa gita da molto tempo. E’ una montagna difficile da scalare, e forse proprio per questo ne è attratto. Come tutti, anche lui sa che il viaggio dipende soprattutto dai possibili compagni: uno parla troppo, uno troppo poco, uno è lento, l’altro è veloce. Mica semplice scegliere con chi condividere l’avventura. Alla fine decide di andare con suo fratello Gherardo. Meglio rimanere in famiglia.
I due incominciano la salita, insieme ai servi. Ma subito dopo, ecco che Petrarca si scoraggia, non ce la fa, cerca un’alternativa, magari una strada più lunga ma meno ripida. Inutile dirlo, suo fratello è già quasi sulla cima. A questo punto i miei compagni di avventura, l’avventura della lettura in classe, incominciano ad innervosirsi: “Com’è? Ha fatto tutto sto bordello e mo’ nun c’ha fa?”.
Il povero Petrarca arranca ma loro non lo sostengono più, anzi, rivelano grande irritazione per un uomo che non sa mai bene quello che vuole. Finalmente anche il poeta ha raggiunto la sommità del monte, si perde nel paesaggio, si immerge nell’azzurro della lontananza, e poi, invece di contemplare il panorama, "che fa? si mette a leggere!". "Bè, non è il solo che si porta i libri in cima alla montagna". Sguardi di scetticismo si posano su di me. Proseguo. E arrivo finalmente su quella che era la mia personale cima di questa pagina. Petrarca apre il libro di Sant’Agostino e legge – "a caso!" - una frase che fa più o meno: “gli uomini preferiscono guardare il cielo, gli oceani, il mare e trascurano di guardare se stessi”. Dopo di che, il poeta incomincia la discesa e non ha più voglia di parlare con nessuno.
“Ci dessi na mazza ‘ncapa”, dice un ragazzo. Non ne può più di quelle esitazioni, di quel dissidio di cui si nutre lo scrittore.
Altro che bullismo a scuola! Ci manca solo che gli studenti bastonino il mio poeta, distruggano la quiete di valchiusa, di aquà petrarca, e degli altri suoi rifugi. La scena mi si materializza in tutto il suo orrore.
Però poi incominciamo a ragionare, del dissidio ma anche della vanitas, della caducità di tutte le cose. E piano piano, la mazza viene dimenticata all’angolo dell’aula, Petrarca a loro dire è e resta “un complessato”, però ci offre mille spunti di discussione. E parliamo tanto, e bene, di questi testi di cinquecento anni fa, ragioniamo e se passa un critico letterario li prende e li porta via. Perché sanno riflettere, hanno tante idee. Il fatto è che a loro li sfastidia il dissidio, a me viene voglia di difenderli da quelli che li vedono da fuori, tutti uguali e strafatti di niente.
Dovendoci andare, non avrei dubbi sulla compagnia da scegliere per salire sul monte ventoso.

13 settembre 2007

Recupero anni all'università di bah!

Sul treno Caserta - Napoli, schiacciata da decine di studenti del primo giorno di scuola. Niente cartella, solo residuo di abbronzatura, zainetto leggero e un’aria scanzonata che sa di estate e di giovinezza.

In silenzio, mi infilo nei loro discorsi: poca scuola, tanta vita, amici, moto, locali. Li guardo cercando di indovinare come suono tra i banchi. Che voto prendono, come si comportano in classe, quali materie gli piacciono. Ma siamo davvero troppo vicini, per fare spazio alla immaginazione, non riesco a cogliere molto dei loro interessi. Ad una stazione intermedia scendono quasi tutti e leggo un manifesto, la pubblicità di un istituto scolastico parificato. Recupero anni. C’è scritto grande grande. Recupero anni. Sarebbero quelli delle bocciature, gli anni. Due in uno. Cose semplici, quando si ha a che fare con i numeri. Magari recuperi un poco di preparazione, rabberciata alla meno peggio. Imparerai, forse, cose che adesso non ti interessano, non ti andava di portarti dietro nello zaino. Quello che non recuperi è invece il tempo, le frustrazioni, la delusione e la rabbia che si accompagna alle bocciature. Quella no, non la puoi recuperare, avvolgere in una carta da diploma che un giorno conseguirai. Quel grumo di inadeguatezza fa parte della tua storia. Cose complicate, quando si ha a che fare con i progetti di vita.

Recupero anni. Ci vorrebbe un corso anche per quelli che non sono stati bocciati, quelli che un poco acciaccati, con qualche debito qua e là ce l’hanno fatta. E ancora più per quelli che sono stati promossi, con voti molto belli. Anche per loro ci vuole un recupero anni.

Mi viene in mente Marinica. Una domenica mattina di trenta anni fa. Siamo cinque bambine che giochiamo alla molla nella villa comunale. Ci lascia ai nostri giochi di bambine per andare a casa. Deve vedere un programma tv: un intervento chirurgico a cuore aperto. Il primo forse, trasmesso in televisione, in bianco e nero. Una cosa che a me faceva paura solo a pensarci. A lei piaceva. Perché aveva già deciso di fare il medico. Aveva solo dieci anni.

Ci è riuscita. Liceo, laurea e specializzazione in ortopedia. Poi una infinità di tempo al Nord, in un ospedale a mille chilometri da casa sua. Infine, a quaranta anni, il ritorno a casa, al sud. In un ospedale nuovo, dove era possibile vincere un concorso pubblico senza essere figlia di un medico. Un ospedale nuovo, che raggiunge percorrendo solo cento chilometri al giorno. succede che le realizzi le cose che vuoi. Se hai la passione. E se hai la pazienza di renderla vera, questa passione. E se non ti importa dei chilometri che ci metti intorno per tenerla sempre viva.

Seguo la scia dei ragazzi che sono risaliti dall’altra parte del sottopassaggio. Mi chiedo quali passioni covano. E soprattutto chi gli insegnerà la tenacia di conservarle queste passioni. Chi gli darà modo di realizzarle. Negli anni.

“Viviamo in una società defuturizzata” , ho letto l’altro giorno. Una parola orribile, defuturizzata, quanto il suo significato. Essere privati del futuro. E cioè delle certezze e delle speranze. Un furto violento. Un intervento a cuore aperto.

Come quello consumato in questi giorni nell’ università di Bari ai test di ammissione in medicina. Una truffa che ha dentro la tracotanza dei ricchi, dei privilegiati, degli ignoranti che sanno di poter fare quello che vogliono. Lo fanno. Lo hanno sempre fatto. E, con molta probabilità, continueranno a farlo. In altri modi, in altre forme, aggiornando il listino dei prezzi. Costerà caro. E’ ovvio.

Università di Bari, la stessa dove Marinica si è laureata e specializzata, la stessa in cui io ho conseguito il dottorato di ricerca. Da sole, senza baroni e senza soldi. Come noi tantissimi studenti. Insieme ad altre ingiustizie più o meno striscianti. Anche noi abbiamo la nostra storia.

E quelli che oggi si iscrivono, quelli che oggi hanno una passione, hanno bisogno della stessa tenacia di quelli che da soli ci sono riusciti. Il recupero anni, il recupero di anni di fiducia, richiede qualcosa di più. Gli studenti truffatori saranno allontanati, i loro genitori, quelli che hanno firmato assegni e bonifici bancari cercheranno altre strade, qualche tecnico sarà rimosso. E i docenti? I professionisti che suggerivano le risposte? Sarebbe già qualcosa, sapere che qualcosa è stato fatto. Qualcosa di serio e importante almeno come una passione. Potrebbe bastare per recuperare almeno uno scorcio di futuro.


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