è natale anche qui

Gocce di luce che sembrano scendere dal cielo di una notte stellata, strascichi di cometa che si congiungono e si inseguono per la via, e poi archi che si restringono, girandole che si allargano, rami di alberi che si spingono in alto e con le rosse lampadine sfiorano il buio. A dicembre viene voglia di camminare tutto il tempo con il naso all’in su. Non importa se si gela (il naso), quello che conta è l’incanto delle lucine, dei colori, dei riflessi cangianti. E’ Natale.
Ma di andare con il naso all’in su qui, questo Natale, no, non si può. Si rischia di inciampare, di cadere, di finire spiaccicati al suolo. Ed è vero che i sacchetti della spazzatura sono morbidi, però mica tutti. Ci sono anche ferri appuntiti, vasi sbreccati, rimasugli di serie luminose natalizie. Quelle che non funzionavano, che non sono finite verso il cielo, dove potevano andare se non nella spazzatura? Per terra, appunto.
Altro che naso all’in su. Molti camminano con la sciarpa intorno al viso, per proteggersi dal cattivo odore, con i pacchetti che penzolano dal braccio, dondolanti felici verso le feste. Altri camminano con il capo cosparso di cenere, perché si vergognano, di festeggiare un Natale così, vedono una confezione di cotechino in salumeria e immaginano già cosa ne sarà, saprebbero riconoscerla tra mille, in uno dei tanti cumuli di spazzatura, anche alla luce intermittente e colorata delle lampadine di Natale.
I cumuli intorno ai cassonetti sembrano gonfiarsi, minuto dopo minuto, comparire di qua e di là come tanti bubboni sul viso. Invece si allargano sotto i piedi, come in un film di paura.
Forse bisognava restare al buio, approfittare dei contorni cancellati dalle lunghe notti di dicembre e restare un po’ a pensare, capire, cercare di capire. Oppure, al contrario, bisognava illuminare la città a giorno, e di nuovo pensare, capire, cercare di capire. Anche questo è Natale.
Nella maggior parte delle scuole questa festa è la più bella dell’anno. Soprattutto nelle scuole materne ed elementari. Con una scusa o con l’altra ci sono stata almeno in paio di volte questa settimana. Per guardare il pupazzetto di neve (ma è ovatta!) attaccato alle finestre, per rubare un po’ di porporina dai banchi e tenerla tutto il giorno tra le dita ( tanto non se ne va mai..), per sentire l’odore di vinavil che scende dai tubetti, per vedere il passo incerto del bambino sotto il peso del vaso di stelle di natale da portare alle maestre. E penso che tutti quanti ci sentiamo come lui, come quel bambino, con le foglie della pianta che ci sfiorano il naso, ci coprono la vista, un po’ barcolliamo, un po’ andiamo. Verso un bigliettino d’auguri, verso una poesia di cui non ricordiamo le rime, verso una festa che non sappiamo bene cos’è ma immaginiamo che ci aspetta, da qualche parte. Facciamo attenzione a dove mettiamo i piedi, potremmo inciampare. D’altronde quelle lucine sono inutili, non ci aiutano a vedere. Però vogliamo sperare, vogliamo trovare un punto, un posto in cui la strada finisce e finalmente possiamo posare anche la nostra stella di Natale.