Spazza la bellezza...
Di nuovo! Anche stamattina! Anzi di più. Perché il vento di questa notte ha spazzato via le carte, ha fatto rotolare lontano le buste di plastica. La strada è invasa dalla spazzatura. Sacchetti annodati, accatastati gli uni sugli altri. Di nuovo, i cassonetti non sono stati svuotati. Sono lì, sfingi tristi abbandonate a se stesse. Un monito, più che altro. Un avvertimento di come le cose dovrebbero essere e non sono. Entrano ed escono dallo sguardo mentre percorro il tragitto da casa a scuola. Tanti, troppi cassonetti. Tanta, troppa spazzatura. Una beffa persino la raccolta differenziata. E nonostante questo, ci provano, ci proviamo a rispettare l’ordine, la disposizione di carta vetro plastica e alluminio. Infatti la carta straborda dai cassonetti bianchi, le bottiglie di vetro si rompono in prossimità del contenitore giusto e i barattoli di alluminio si tengono tra loro a distanza ridotta.
La tenacia di pochi che serve a blandire l’incuria, la disattenzione, la violenza di una città che fatica ad essere ordinata e pulita in prossimità delle tante aiuole che fioriscono tra gli incroci e gli snodi di asfalto. Dovrei spiegare Leopardi, questa mattina.
In classe leggo, leggiamo versi sulle vie dorate e gli orti, ci sporgiamo oltre la siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte lo sguardo esclude, e poi ascoltiamo della placida notte e il verecondo raggio della cadente luna. Una lezione dedicata agli idilli che raccontano l’amore per la vita, la bellezza del paesaggio, lo struggimento del pensiero. Dentro un’aula che ha il nastro adesivo alle finestre, i muri sporchi e pieni di scritte e la porta che non si chiude. In certi momenti, sembra un inganno, la bellezza. Cercarla nelle poesie con i sensi anestetizzati dall’incuria, dalla disattenzione, dalla violenza che ci circonda, che ci abita. Alla fine della lezione un alunno mi chiede qualcosa sui Cento passi. Domani vogliono vedere un film sulla mafia per solidarietà con i ragazzi di Locri. Mi viene in mente la scena in cui Peppino Impastato su un’altura sta fotografando la terra su cui sarà costruito l’aeroporto di Punta Raisi. “Salendo qui sopra, uno potrebbe pensare che la natura vince sempre. In fondo tutte le cose, anche le peggiori, si trovano una logica per il solo fatto di esistere. Fanno queste cose schifose con le finestre di alluminio, i balconcini, la gente ci va ad abitare e mette le tendine, i gerani, la tv e dopo un po’ ci si dimentica di come era prima. Non ci vuole niente a distruggere la bellezza. Invece della lotta politica, bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza, a riconoscerla, a difenderla. E’ importante la bellezza, da quella discende giù tutto”.
Il film si apre proprio con Peppino bambino che recita a memoria L’Infinito di Leopardi. E suo padre, prima di morire ammazzato, cerca di ricordare, i versi che aveva sentito da suo figlio, “picciriddo. Sta per suonare. In classe i discorsi si fanno un po’ sbrigliati. “Professorè, io solo una poesia ho imparato a memoria. La pioggia nel pineto. Non mi ricordo niente. Di chi era professorè? So solo che erano pagine pagine e pagine. Solo una parola mi è rimasta impressa: Taci. Com’è? Una poesia di tante pagine per dire: taci. La poesia serve per capire quando bisogna stare zitti o per capire il silenzio, professorè?” Almeno lui è riuscito a spazzare via la mia tristezza di questa mattina. “Tu che dici?”, gli chiedo sorridendo.
La tenacia di pochi che serve a blandire l’incuria, la disattenzione, la violenza di una città che fatica ad essere ordinata e pulita in prossimità delle tante aiuole che fioriscono tra gli incroci e gli snodi di asfalto. Dovrei spiegare Leopardi, questa mattina.
In classe leggo, leggiamo versi sulle vie dorate e gli orti, ci sporgiamo oltre la siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte lo sguardo esclude, e poi ascoltiamo della placida notte e il verecondo raggio della cadente luna. Una lezione dedicata agli idilli che raccontano l’amore per la vita, la bellezza del paesaggio, lo struggimento del pensiero. Dentro un’aula che ha il nastro adesivo alle finestre, i muri sporchi e pieni di scritte e la porta che non si chiude. In certi momenti, sembra un inganno, la bellezza. Cercarla nelle poesie con i sensi anestetizzati dall’incuria, dalla disattenzione, dalla violenza che ci circonda, che ci abita. Alla fine della lezione un alunno mi chiede qualcosa sui Cento passi. Domani vogliono vedere un film sulla mafia per solidarietà con i ragazzi di Locri. Mi viene in mente la scena in cui Peppino Impastato su un’altura sta fotografando la terra su cui sarà costruito l’aeroporto di Punta Raisi. “Salendo qui sopra, uno potrebbe pensare che la natura vince sempre. In fondo tutte le cose, anche le peggiori, si trovano una logica per il solo fatto di esistere. Fanno queste cose schifose con le finestre di alluminio, i balconcini, la gente ci va ad abitare e mette le tendine, i gerani, la tv e dopo un po’ ci si dimentica di come era prima. Non ci vuole niente a distruggere la bellezza. Invece della lotta politica, bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza, a riconoscerla, a difenderla. E’ importante la bellezza, da quella discende giù tutto”.
Il film si apre proprio con Peppino bambino che recita a memoria L’Infinito di Leopardi. E suo padre, prima di morire ammazzato, cerca di ricordare, i versi che aveva sentito da suo figlio, “picciriddo. Sta per suonare. In classe i discorsi si fanno un po’ sbrigliati. “Professorè, io solo una poesia ho imparato a memoria. La pioggia nel pineto. Non mi ricordo niente. Di chi era professorè? So solo che erano pagine pagine e pagine. Solo una parola mi è rimasta impressa: Taci. Com’è? Una poesia di tante pagine per dire: taci. La poesia serve per capire quando bisogna stare zitti o per capire il silenzio, professorè?” Almeno lui è riuscito a spazzare via la mia tristezza di questa mattina. “Tu che dici?”, gli chiedo sorridendo.
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