Scritto sui banchi

20 giugno 2008

Agenzia Mattei, la pubblicità che fa scuola


Non si era mai vista una cosa così. Un manifesto gigante campeggia davanti all’Istituto Mattei di Caserta, realizzato dagli studenti, in collaborazione con i docenti e con le istituzioni. Oltretutto è anche bello.
L’idea: creare, all’interno della scuola una vera e propria agenzia pubblicitaria - Agenzia Mattei, come il nome dell'Istituto Professionale che ospita al proprio interno un indirizzo di grafica – che si occupi di temi di comunicazione sociale. A renderla concreta un prof, Emanuele Abbate. Siamo stati colleghi, dunque lo conosco bene e abbiamo spesso discusso di comunicazione e pubblicità. Per capirci, è quel tipo di prof che va vedere ai suoi alunni tre ore di The corporation. Molto sospettoso e guardingo con la pubblicità, assolutamente diffidente dei meccanismi troppo oleati della comunicazione di massa, dei consumi e delle mode, da insegnante di grafica pubblicitaria , utilizza, insegna ad utilizzare gli stessi mezzi, cambiando però i messaggi.
“Ogni mese - mi spiega il prof Abbate - la Provincia sceglie un tema, lo presenta e lo accompagna con del materiale informativo. I docenti che desiderano essere coinvolti informano i loro alunni e dopo qualche giorno raccolgono il materiale prodotto, in questa fase dei semplici bozzetti. Tra di essi vengono selezionati i primi cinque, di questi il migliore è rielaborato dagli alunni più esperti al computer e poi affisso su strada, gli altri quattro vengono stampati in formato più piccolo e affissi sul retro del tabellone”.
Capito?
In questo manifesto tre metri per sei – che ruba felicemente spazio alla desolazione di certi cartelloni cittadini - anche la modella è una alunna e per chi lavora con i ragazzi è facile immaginare quanta fatica, quanto impegno, quanto lavoro c’è dietro.
Pensare, immaginare, fare, rifare ancora, riprovare, vincere la stanchezza, vincere la scommessa, vincere. Vincere e pure avvincere!
“Il bucato è sempre più bianco ma il mare è sempre più nero” recita il claim del manifesto. Si parla dunque di inquinamento, di detersivi, di risvolti inquietanti dietro reclame rassicuranti.
Eppure a me sembra che quel bianco e nero, quella dialettica cromatica include anche qualcos’altro.
Il bucato è sempre più bianco. Bianco e luminoso, come la voglia sempre più ostentata di ecologia. Il mare è sempre più nero: non una voce ancora che si sia levata a favore dell’educazione ambientale, grande assente nei piani di studio e confinata negli interstizi delle scienze, della geografia e mai pienamente vissuta dalle scuole.
Il bucato è sempre più bianco. Come le critiche incandescenti mosse da ogni dove alla scuola (l’ultima in ordine cronologico, riguarda la diligente mediocrità degli insegnanti). Il mare è sempre più nero. In aula ci vanno quelli che non scrivono sui giornali, quelli che lavorano, che ci credono, che si impegnano. Ciascuno a suo modo. (Per gli altri, quelli che non lavorano, che non ci credono, che non si impegnano: prima o poi adà venì Brunetta!) .

“Il bucato è sempre più bianco, il mare è sempre più nero”. Però! niente male una scuola che colora la città.

17 giugno 2008

vecchie minestre e nuove ministre

Antonietta era – ed è – l’amica storica di mia madre. Quarant’anni di vita insieme, per quelle cose misteriose dell’amicizia, stessa altezza, stesso lavoro, figlie coetanee, stesse vacanze.
Una mattina, sulla spiaggia, incominciò a fare strani discorsi a me e a sua figlia Manuela. Eravamo dodicenni e lei parlava d’amore, di fidanzati che presto avremmo potuto incontrare, e da maestra qual era, ci istruiva. Almeno con quattro B!!!. Io e Manuela giocavamo pateticamente con i secchielli e le palette. Bello. Mi passi la paletta. Buono. No, serve a me. Benestante. E dai! Di Buona famiglia. E tu dammi il rastrello. Avete capito? Bello Buono Benestante. Di Buona famiglia. Il nostro giovanissimo spirito anarchico fece ci fece buttare le palette per aria e incominciammo una discussione che non finiva più. Mia madre sullo scoglio, con la copia di Tutto Uncinetto sulle gambe, stava realizzando una borsa di cotone e non diceva una parola, preoccupata solo di non far bagnare i gomitoli colorati. Gli anni settanta stavano per finire ma i bikini fatti all’uncinetto si usavano ancora.
Col passar del tempo, le allora ragazzine della spiaggia hanno avuto vari fidanzati e un marito cadauno. Nessuno dei fidanzati era dotato di quattro B contemporaneamente oppure le aveva, ma con altri significati: quello Buono spesso era Brutto, quello Benestante era un Babbeo, quello di Buona famiglia era Bacato e così via (sino all’incontro con i mariti che di aggettivi ne hanno a Bizzeffe e qui sarebbe troppo lungo elencare). Eppure quell’insegnamento, le quattro B, è rimasto incastrato tra i ricordi.
Da adulte, io e la mia amica, prive di fantasia professionale, abbiamo intrapreso la stessa carriera delle nostre mamme. Insegnanti, tutte e quattro. Vincitrici di concorso ci imbattemmo negli albori delle tre I. Informatica, Inglese, Internet.
L’insegnamento sotto forma di lettere e numeri continuava a perseguitarci. Dovevamo formare studenti capaci di conoscere l’informatica, di parlare l’inglese e di smanettare su internet. Noi, che insegnavano Italiano. Poi, il cambio di governò. Con le statistiche di valutazione Internazionale che gridavano a tutto il mondo quanto i nostri alunni fossero ignoranti. Non solo quelli miei e di Manuela, quelli di tutta l’Italia.
Incerte e persino Impaurite dagli esisti catastrofici della nostra scuola, tra ragazzi sempre più Irrequieti e Irascibili, l’altro giorno io e Manuela abbiamo ascoltato – era ora! - per la prima volta la voce del ministro della pubblica Istruzione, Mariastella Gelmini. Il suo aspetto è assolutamente rassicurante, parla di aumento degli stipendi, di riforme che non farà, di merito e di autonomia. E, forse per effetto di semplificazione giornalistica, si parla di cinque I. Ancora! Ma non erano tre? C’è anche Italiano per gli stranieri e l’Impegno. Tutto da valutare e da premiare.
Dopo una trentina d’anni siamo nuovamente alle prese con un promemoria di lettere e numeri che orienti la nostra azione e un po’ meste per quell’attenzione dedicata solo all’Italiano per stranieri, mentre noi proviamo a estendere a tutti la nostra disciplina, italiani compresi.
Mentre facciamo una passeggiata con i nostri Bambini, ai nostri occhi le sole creature realmente in possesso di tutte le quattro B, ci chiediamo cosa significa, In fondo, la parola Impegno? Cosa Intendeva la Ministra?
Il ragazzo si impegna ma può fare di più. Quante volte l’ho sentito dire da mia madre e dalla sua amica. E adesso toccherà a me, forse, ripeterlo. Impegno e merito ha specificato la Gelmini. Cinque I e una M. Chissà cosa accadrà con questa complicazione alfanumerica.

12 giugno 2008

di gomorra e altre pezzotte


Negli ultimi giorni di scuola, sono piene come i centri estetici. Stesso ritardo sulla tabella di marcia, stessa ansia da prestazione e persino gli stessi risultati. La prova bikini incombe e allora si corre ai ripari: solarium e tempi della bellezza hanno decine di prenotazioni. Una decina di sedute per limare centimetri a colpi di onde elettromagnetiche e massaggi di mani esperte.

Analogamente le fotocopisterie fuori scuola.
Compiti in classe ed esami si affrontano così. Non con una dieta – ricostituente! – di studio, ma con blandi palliativi: fotocopie in scala ridotta, appunti scaricati sui telefonini, temari di tutte le specie. Sette chili in sette giorni, per le diete. Un sei meno meno per le interrogazioni e le verifiche di fine anno. Le fotocopisterie sono piene di clienti che rispondono ad un solo imperativo: copiare, copiare, copiare.
Nell’ordine ho sequestrato: un intero capitolo di italiano infilato nella “spilletta” del compito in classe, un brano di Petrarca sotto un cappellino, un foglio di appunti nel vocabolario. Per le interrogazioni salva candidati, di fotocopia in fotocopia, dagli appunti della più brava della classe, Vitangelo Moscarda di Pirandello ha subito numerose trasformazioni onomastiche: mostarda, moscarola e moscaiola. L’ablativo assoluto latino “Cesare stando” nel passaparola da un banco all’altro per effetto della scansione sillabica è diventato Cesare standò, con un passato remoto inesistente che ha reso incomprensibile il resto della versione, anche se nessuno dei partecipanti al passaparola se ne accorto.
Nelle nostre scuole, dove le lezioni di legalità sono oramai pari a quelle curricolari, si copiano persino i temi sulla legalità. Come se la legalità fosse qualcosa da leggere nei best seller, da vedere a cinema, e non già da praticare. Gli insegnanti si comportano come ritengono più opportuno. Chi finge di non vedere, chi si comporta come un vigile urbano, chi esce dall’aula con la speranza di aiutarli un po’. C'è chi dice che è meglio lasciarli copiare. Tanto chi non studia non sa copiare comunque e l’esito della prova è in ogni caso negativo. Almeno gli altri, copiando imparano.

Mentre sfilo i temari da sotto i banchi mi chiedo se anche per la scuola occorra un commissario straordinario, un piano di smaltimento dei rifiuti – troppa tanta carta sprecata – insomma qualcosa che ripristini la normalità. Ma mentre sono immersa nelle mie fantasticherie un alunno dirotta i miei pensieri sul totoesami. “Può essere che ci danno un tema sulla camorra professorè?”, non lo so. Non credo, in ogni caso non ho mai indovinato. “No, è che tengo Gomorra. Ce lo vogliamo vedere domani tutti insieme?”, mi dice il mio alunno sfilando il cd imbustato in una foderino di plastica.“Hanno copiato persino Saviano?”, chiedo girandomi il cd tra le dita. “Eccome, professorè! quello è il più importante!”.
Quello che è importante si copia, ecco l’equazione. Dal Canzoniere al film in programmazione nelle sale. O si copia o si fotocopia. “Allora, ce la vogliamo vedere questa pezzotta?” “Siiii siii”, dicono gli altri in coro, senza lasciarmi il tempo di rispondere.


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