Scritto sui banchi

30 novembre 2005

le parole per dirlo

Stremata dalla correzione di un’ottantina di compiti in classe. Ho quattro classi e le prime verifiche sono già andate. E’ già tempo delle seconde prove e io sono in ritardo sulla consegna dei risultati. Loro, nel frattempo, stanno scaldando i motori per l’occupazione di dicembre. Oltrepassata la soglia delle prime righe, quelle che servono a capire la traccia scelta e l’organizzazione degli argomenti, mi addentro nella lettura dei fogli pieni solo a metà: un vezzo demodè per lasciare lo spazio a necessari, improrogabili commenti e correzione di errori.
Compito dopo compito, mi inoltro nel mare increspato della scrittura dei miei studenti. Gli errori di sintassi e di ortografia si susseguono con un ritmo sussultorio. Tutto bene per dieci righe poi salta fuori una e senza accento, laddove è evidente che si tratta di un verbo. Talvolta la lettura si incaglia in un periodo ricco di anacoluti assolutamente casuali e privi di qualsiasi intento poetico, ancora più spesso si allentano gli accordi tra soggetti e predicati, per non parlare poi delle forme complesse del discorso dal congiuntivo al condizionale, quasi misconosciute. L’universo linguistico dei miei studenti, visto di qui, dal mare dei compiti in classe, mi sembra farraginoso e irsuto. Oppure al contrario, affettato e levigato secondo i dettami dei temari e dei libri di testo che sono riusciti a consultare nonostante la mia “vigilanza”. Ma so che in entrambi i casi si tratta di una finzione, di un’arrampicata spericolata e pericolosa sulla superficie scivolosa della retorica. Sono convinti che nei compiti in classe bisogna scrivere in falsetto, con una nota più alta del necessario.
La settimana scorsa ho fatto un giretto alla manifestazione degli studenti contro la Moratti. Sono arrivata che la festa era quasi finita, la voce al megafono era roca di sigarette e di slogan recitati per dare il ritmo alla marcia, i ragazzi dispersi in decine di gruppetti, qua e là una decina di ragazze si esibivano in qualche gioco acrobatico per consumare gli ultimi momenti dell’evento, il tempo decisivo per la colletta e l’autofinanziamento.
Ho fotografato qualche striscione per poterlo rileggere con calma. “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Citazione poetica d’obbligo per quelli del liceo classico. “La scuola crolla noi no!” Determinazione strutturale per i ragazzi dello scientifico. Indicazione politica e ideologica, con gioco di assonanze e rime, per la sinistra giovanile: “Moratti – Gentile, stessa riforma, stesso regime”. E poi a chiare lettere, a caratteri cubitali: “Moratti fa’ l’omm”.
Moratti fa l’omm. Cerco di individuare qualche writer che ha realizzato questo striscione adesso posato a terra sul marciapiede della prefettura. Fa l’omm. Fai l’uomo. E’ questo che stanno chiedendo al Ministro? di recuperare dignità, lealtà, coerenza, coraggio? E’ questo che significa per loro essere uomo? Hanno letto Sciascia, le sue pagine sugli uomini, ominicoli e quaquaraquà? Pensavano a Totò e alla dicotomia mai ricomposta tra uomini e caporali? Si riferivano al senso comune che utilizza una sola espressione – fa l’omm! – per dire tutto quello che non si può dire altrimenti?
Era tardi, troppo tardi. Così non ho trovato nessuno con cui poter commentare il linguaggio enfatico e ribelle degli slogan. E sono tornata a casa a leggere e correggere i temi. E quelle scritture che qualche volta stanno come d’autunno sugli alberi le foglie.

1 Comments:

  • anch'io credo che quella frase, così icastica, così corriva, sia frutto più del caso che di una meditata operazione letteraria. però. Però Davide, c'è una cosa che io difendo strenuamente: tutti gli adolescenti non sono uguali. è comodo sistemare figli studenti ragazzini incrociati per via dentro contenitori chiusi ermeticamente con tanto di etichetta: studente modello, studente che cerca di fare festa, studente che non ne vuole sapere di niente. E poi, visti nell'insieme, tutti sistemati sullo scaffale, le proporzioni sono decisamente a favore degli studenti che non studiano o non vogliono studiare. A me non basta questa comoda classificazione. Credo sia importante saperne di più, o almeno volerne sapere di più. Quanto poi alle occupazioni e alle manifestazioni, condivido purtroppo, il tuo sguardo lucido e pessimista. Pochi, troppo pochi quelli che davvero occupano perchè vogliono farsi sentire, perchè vogliono dimostrare di saperla inventare una scuola, anche senza di noi prof. Ma la cosa più triste è che terminata l'occupazione tutto ritorna esattamente come prima, nulla lascia il segno nella pratica educativa. Come se niente fosse successo. Per questo i professori non si preoccupano delle occupazioni. Poi passano. Anche se a me resta un profondo senso di sconfitta.

    Da Blogger Marilena Lucente, alle 04 dicembre, 2005 09:47  

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