Scritto sui banchi

27 aprile 2006

il ritmo della gita scolastica


Adesso no, non voglio più difendermi, supererò dentro di me gli ostacoli, i miei momenti più difficili… Le gite scolastiche sono prima di tutto questo: la musica che si sente in pullman. Una colonna sonora inventata chilometro dopo chilometro, ora dopo ora. Scivolando lungo l’autostrada, l’euforia dei primi momenti si mescola alla noia dell’appello ripetuto ogni salita e discesa, insieme alla inutili raccomandazioni. La musica è indispensabile. There is no reason, there’s no rhitme, it’s no cristal clear…Un continuo via vai tra i ragazzi seduti nell’ultima fila – i primi posti ad essere occupati e contesi – e la postazione dell’autista per stabilire cosa ascoltare. Mettete questo, mettete quest’altro. I cd si accumulano, insieme alle proteste, alle proposte, ai pareri discordi. Però alla fine c’è sempre un brano che vince su tutti. Stamattina tocca a Ramazzotti scaldare i motori.
Ho camminato sui pensieri ripidi… Prendono nuove forme vecchi legami, si accendono gli sguardi e si infiammano le curiosità. Le gite scolastiche sono avventure dentro le amicizie, incursioni verso i territori misteriosi dell’amore, vagabondaggi tra conoscenze superficiali e incontri occasionali. Si litiga, si pace, ci si ignora. Accade di tutto, in pochi giorni.
Gli itinerari ufficiali vengono sovrascritti con qualcos’altro. In discoteca. I miei ragazzi vogliono andare in discoteca. Dal primo momento. E gli importa poco di casa Leopardi e della piazzetta del sabato del villaggio, dove sono assiepate decine di studenti di tutta Italia sfatti dal caldo e dalla stanchezza. E’ alla discoteca che pensano attraversando i corridoi del castello, sulla soglia della stanza in cui Paolo e Francesca leggevano il libro galeotto prima di darsi quel bacio appassionato. Le guide parlano parlano e noi prof ci schiacciamo contro il muro, per non perderci gli studenti, ma soprattutto perché abbiamo pietà di quelle guide colte e appassionate che saltellano nei luoghi della storia e della cultura inciampando tra disattenzione e battute dissacranti dei nostri ragazzi. Sono stanca, prof. Ho fame. A che ora torniamo in albergo? Una lunga catena di domande ci rende dispenser di informazioni e rassicurazioni.
Quest’inverno finirà…Per fortuna ci prende una stanchezza esagerata che non lascia spazio a nessuna riflessione, a nessun pensiero del tipo: chi me lo ha fatto fare? E poi ci sono le foto da fare, con tanto di abbigliamento sportivo e occhiaie di ordinanza. Sorrisi da esibire e felicità degli abbracci. Ecco chi me lo ha fatto fare! Conoscersi in quattro giorni più e meglio che in quattro mesi di scuola. A partire da quello che si tira fuori dai trolley: lucidalabbra e asciugacapelli, scarpe col tacco a spillo e confezioni di merendine. (Ho cercato invano un libro, una rivista, un quaderno tra i 46 ragazzi del mio gruppo. Forse mi sbaglio, forse l’hanno tenuto nascosto, ma io non ho trovato neppure l’ombra di materiale cartaceo. Ad eccezione dei fazzolettini di carta e delle salviettine struccanti). Occhiali da sole e telecamere, maglioncini e fotografie dei fidanzati. Un puzzle di vita adolescenziale impossibile da ricomporre. Come sempre, sorprendente. Alle tre di notte, mentre con un collega giravamo per i corridoi, una ragazza ha aperto la porta di una stanza - assai affollata in verità - e ci ha chiesto: “lo volete il caffè? L’ho fatto mo’ mo’”. Sul comodino la moka, il fornellino elettrico e una confezione di kimbo. In più, un odore irresistibile. Lampi nel silenzio siamo noi. I belong to you, you belong to me, you are the wind that’s underneath my wings… Non ce ne siamo neanche accorti e siamo già sul pullman per il ritorno.

17 aprile 2006

in vacanza, a Pasqua


“Raconta come hai trascorso i giorni di festa. Ci dobbiamo anticipare anche questo compito mamma?”. “Racconta con due c, a mamma”. Che guaio, per certi bambini, avere la mamma insegnante. Compiti da fare prima di adesso, libri a piacere da leggere, esercizi di grammatica sulle doppie, poesia di Pasqua da ripetere e già che ci siamo pure una ripassata alla tavola pitagorica. E hanno persino il coraggio di chiamarle vacanze. Quasi quasi è meglio andare a scuola.
Però le giornate oramai si sono infilate dentro la primavera. Nei cortili, le scia delle grida dei ragazzini delle medie che giocano a calcio e sanno bene come dribblare compiti e impegni familiari. Aprile si accartoccia su se stesso, con tre lunghi fine settimana che in cui batte più intensamente il tempo della scuola e quello della famiglia. I tempi delle famiglie. Al plurale. Perchè ognuno in questi giorni ci mette dentro la propria storia di vita.
Per tutta la settimana santa Mario, nell’appartamento di fronte, non è riuscito a guardare i cartoni in santa pace. Di là sua madre e sua zia sono alle prese con le pastiere e le solite discussioni. “Fiori d’arancio o acqua di rose?” “Grano o riso?” “Riso! Che riso?” Ogni anno qualcuno tenta piccoli assalti alla tradizione, lievi trasformazioni per risultati decisamente migliori. Niente da fare. Si procede come ricettadiziagianna comanda.
Danilo è partito. Vacanza a Palinuro. Beato te, gli hanno detto gli amici. Lui ha fatto una smorfia impercettibile. Avrebbe preferito restare qui a giocare con loro. Però i suoi genitori appena possono vanno via. Così, lui ignora i pranzi rumorosi e disordinati delle famiglie numerose. Tutti i ripiani della cucina e del soggiorno colmi di vassoi, casatielli, colombe, insalate. Una teoria di piatti da portata e teglie colori. E anche se non si vede, ci sono ore, ore e ore ai fornelli, lunghe file al negozio, parcheggi in doppia fila. Ma basta sedersi a tavola ed è come rinascere a nuova vita. Danilo va a ristorante e a fatica ha smaltito quattro ore di traffico di costiera.
Poi ci sono le bambine e i bambini che sono andati in chiesa, che hanno partecipato alle funzioni religiose di questi giorni. Hanno sentito parlare di rinascita, di luce dopo il buio, di tradimenti e di resurrezione. Non sono facili queste cose da capire. Il sacro è una categoria della mente, attraverso cui l’uomo percepisce il mondo. Percepisce, appunto. Quello che accade durante, dopo, dentro, nessuno può dirlo.
I miei figli hanno salutato i vicini. Paolo dice sempre ‘ndiamo a Tacchero’ con lo stesso orgoglio con cui un altro direbbe andiamo ad New York. Invece tacchero non ha niente a che fare con la grande mela. Piuttosto è il paese dell’uva regina. E non si chiama tacchero ma Noicattaro. E’ il paese dei nonni, degli zii, dei cugini. E il mio. Per i miei figli è uno dei posti più belli al mondo. E in questi giorni ci sono le processioni: il giovedì, il venerdì – la sera e la notte - e il sabato. Le luci si spengono e ai balconi si accendono i ceri rossi. La passione si vuole buia e silenziosa. Per l’occasione arrivano turisti da tutta la Puglia, bar e panifici sono accesi e aperti tutta la notte. Per le strade ci sono centinaia e centinaia di persone assiepate sui marciapiedi – i piccolini si infilano tra le gambe e riescono a raggiungere i primi posti – per vedere da vicino “i crociferi”, uomini vestiti di nero, scalzi, incappucciati, con le catene ai piedi e le croci sulle spalle. E poi arrivano le statue: Gesù morto, la Madonna che va in cerca di suo figlio, la Veronica. C’è la banda che suona e le Donne di Maria che recitano il rosario con il velo scuro sulla testa. Sono momenti così carichi di mistero.
La mattina di Pasqua, come tutti i bambini qui, hanno ricevuto la scarcella, una gallina di pasta con un uovo sodo sulla pancia: “E perché poi fanno tutte le processioni fino al sabato e la domenica niente che è proprio la festa? ““Perché è del buio, della morte che si ha tanta paura. Queste processioni si facevano tanti anni fa, nel medioevo, quando gli uomini temevano tutto…”. E proprio un guaio avere una mamma insegnante. “Quando possiamo aprire le uova? ” mi chiedono, mentre le stanno già scartando.

09 aprile 2006

una storia tra i banchi


Lunedì 3 aprile. La maestra Ivana sta preparando la plastilina. Ritaglia i tocchetti di colori diversi e li sistema nei piattini prima di distribuirli tra i banchi. E’ uno dei loro giochi preferiti dei bambini. Hanno tre e quattro anni i suoi alunni, in genere fanno dei mostri fantastici. Luca è appena entrato e si avvicina a Giovanni che non riesce a chiudere lo zaino: “Ti dicio una cosa nell’orecchio”. A Giovanni non sembra vero poter ricevere un segreto così, all’inizio della giornata. Il respiro di Luca gli fa il solletico sul collo. Mentre ascolta Giovanni sgrana gli occhi. Appena l’amico ha finito, dice ad alta voce, quasi gridando: “Maestraaa, Tommi è morto”. (Così sono i segreti dei bambini, a quattro anni, di chi li dice, mica di chi li ascolta). “Sì, sì, dice la maestra, assecondando la faccia triste di Luca. Ci ha messo due giorni anche lei per smaltire la rabbia e la tristezza per questa notizia. Ha trascorso l’intera domenica pensando tanto ai suoi bambini davanti alla tv. Alle emozioni che gli cadevano addosso senza preavviso, come sassi sul cavalcavia. Alle cose che avrebbero capito, a quelle che gli sarebbero sfuggite, a quelle che si sarebbero infilate nei loro pensieri, nascondendosi per chissà quanto tempo.
Le notizie del mondo si intrecciano spesso alle mattinate scolastiche. In genere è Silvia, scarpette sempre slacciate, che racconta. La mamma il pomeriggio si addormenta “davanti alla vita in diretta” e lei gioca ascoltando la tv. Così in classe arrivano le minutaglie dell’informazione, per lo più trasformate dalla fantasia. Ci sono alcune mamme che ci hanno provato a lasciare Tommaso fuori dalla portata dei bambini. Alcune perché non reggevano tutta questa storia, altre perché non volevano impaurire i figli.
Martedì 4 e mercoledì 5 aprile. Ogni bambino entra in classe con le proprie convinzioni. “Sta in cielo, come agli angeli”. “Ha detto mia madre che i cattivi qua non ci stanno”. “Mio zio è poliziotto e me l’ha spiegato tutto”. “Maestra ma adesso che fanno i genitori?” “Gli danno un altro bambino”. “E’ vero maestra?” Certezze rigide e intangibili, per alcuni. Affermazioni che vanno giù come un castello di carte per altri. Ivana raccoglie le frasi, le unisce tra loro, cerca di comporre un disegno con un minimo di senso, cercando di sentire, di far sentire anche la sua verità. Non è che tutto sia chiaro anche a lei. Però le sente, le sensazioni di questi bambini. La paura, l’angoscia. La fiducia incrollabile nei loro genitori.
Venerdì 6. “Nell’uovo di Pasqua che mai ci sarà? C’è forse nascosta la felicità?” Apritelo piano…” stanno ripetendo ancora la poesia. E’ l’ultimo giorno prima delle vacanze. I primi genitori incominciano ad arrivare. Ivana dà ai bambini le bustine con i regalini di portare a casa: pulcini di batuffoli di ovatta giallo, uova di cioccolata, bigliettini con la porporina. Tra gli auguri e i saluti, sono tante le mamme che raccontano ancora di Tommaso. “Avete visto maestra?”. E Ivana vede l’inquietudine e la tristezza che aggrinzisce queste giornate di primavera.
Sabato 8. L’avranno visto tutti, il funerale. In diretta, o in uno dei tanti servizi al tg. Avranno visto altri bambini come loro. Avranno visto genitori come i loro. Avranno visto quella foto inquadrata centinaia di volte. Unico segno concreto di una vicenda che a tratti sfuggiva alla realtà, alla loro realtà. Un bambino uguale agli altri bambini. In segreto, sarà apparso così, Tommaso ai suoi bambini. Almeno lo spera, Ivana. Uguale agli altri e non solo una (brutta) storia da attraversare.


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