Scritto sui banchi

17 aprile 2006

in vacanza, a Pasqua


“Raconta come hai trascorso i giorni di festa. Ci dobbiamo anticipare anche questo compito mamma?”. “Racconta con due c, a mamma”. Che guaio, per certi bambini, avere la mamma insegnante. Compiti da fare prima di adesso, libri a piacere da leggere, esercizi di grammatica sulle doppie, poesia di Pasqua da ripetere e già che ci siamo pure una ripassata alla tavola pitagorica. E hanno persino il coraggio di chiamarle vacanze. Quasi quasi è meglio andare a scuola.
Però le giornate oramai si sono infilate dentro la primavera. Nei cortili, le scia delle grida dei ragazzini delle medie che giocano a calcio e sanno bene come dribblare compiti e impegni familiari. Aprile si accartoccia su se stesso, con tre lunghi fine settimana che in cui batte più intensamente il tempo della scuola e quello della famiglia. I tempi delle famiglie. Al plurale. Perchè ognuno in questi giorni ci mette dentro la propria storia di vita.
Per tutta la settimana santa Mario, nell’appartamento di fronte, non è riuscito a guardare i cartoni in santa pace. Di là sua madre e sua zia sono alle prese con le pastiere e le solite discussioni. “Fiori d’arancio o acqua di rose?” “Grano o riso?” “Riso! Che riso?” Ogni anno qualcuno tenta piccoli assalti alla tradizione, lievi trasformazioni per risultati decisamente migliori. Niente da fare. Si procede come ricettadiziagianna comanda.
Danilo è partito. Vacanza a Palinuro. Beato te, gli hanno detto gli amici. Lui ha fatto una smorfia impercettibile. Avrebbe preferito restare qui a giocare con loro. Però i suoi genitori appena possono vanno via. Così, lui ignora i pranzi rumorosi e disordinati delle famiglie numerose. Tutti i ripiani della cucina e del soggiorno colmi di vassoi, casatielli, colombe, insalate. Una teoria di piatti da portata e teglie colori. E anche se non si vede, ci sono ore, ore e ore ai fornelli, lunghe file al negozio, parcheggi in doppia fila. Ma basta sedersi a tavola ed è come rinascere a nuova vita. Danilo va a ristorante e a fatica ha smaltito quattro ore di traffico di costiera.
Poi ci sono le bambine e i bambini che sono andati in chiesa, che hanno partecipato alle funzioni religiose di questi giorni. Hanno sentito parlare di rinascita, di luce dopo il buio, di tradimenti e di resurrezione. Non sono facili queste cose da capire. Il sacro è una categoria della mente, attraverso cui l’uomo percepisce il mondo. Percepisce, appunto. Quello che accade durante, dopo, dentro, nessuno può dirlo.
I miei figli hanno salutato i vicini. Paolo dice sempre ‘ndiamo a Tacchero’ con lo stesso orgoglio con cui un altro direbbe andiamo ad New York. Invece tacchero non ha niente a che fare con la grande mela. Piuttosto è il paese dell’uva regina. E non si chiama tacchero ma Noicattaro. E’ il paese dei nonni, degli zii, dei cugini. E il mio. Per i miei figli è uno dei posti più belli al mondo. E in questi giorni ci sono le processioni: il giovedì, il venerdì – la sera e la notte - e il sabato. Le luci si spengono e ai balconi si accendono i ceri rossi. La passione si vuole buia e silenziosa. Per l’occasione arrivano turisti da tutta la Puglia, bar e panifici sono accesi e aperti tutta la notte. Per le strade ci sono centinaia e centinaia di persone assiepate sui marciapiedi – i piccolini si infilano tra le gambe e riescono a raggiungere i primi posti – per vedere da vicino “i crociferi”, uomini vestiti di nero, scalzi, incappucciati, con le catene ai piedi e le croci sulle spalle. E poi arrivano le statue: Gesù morto, la Madonna che va in cerca di suo figlio, la Veronica. C’è la banda che suona e le Donne di Maria che recitano il rosario con il velo scuro sulla testa. Sono momenti così carichi di mistero.
La mattina di Pasqua, come tutti i bambini qui, hanno ricevuto la scarcella, una gallina di pasta con un uovo sodo sulla pancia: “E perché poi fanno tutte le processioni fino al sabato e la domenica niente che è proprio la festa? ““Perché è del buio, della morte che si ha tanta paura. Queste processioni si facevano tanti anni fa, nel medioevo, quando gli uomini temevano tutto…”. E proprio un guaio avere una mamma insegnante. “Quando possiamo aprire le uova? ” mi chiedono, mentre le stanno già scartando.

1 Comments:

  • è bello leggere che le generazioni a venire hanno interesse per i paesini come Noicattaro...che è il mio paese, e forse proprio perchè mi ha dato i natali, è il migliore.
    Viva il senso di appartenenza.

    Da Anonymous Anonimo, alle 27 aprile, 2006 12:02  

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