Biologia molecolare dei sogni
Il Professore illustra il risultato della sua ultima ricerca. Un risultato davvero straordinario. Alle sue spalle scorrono le immagini sul grande schermo mentre lui maneggia con delicatezza il mouse del portatile e fa scorrere le slide. La platea lo ascolta rapito. Consapevole di vivere un’esperienza unica: sentire la sua voce pacata, l’eloquio elegante come il taglio della sua giacca. Anche gli altri professori, seduti al tavolo della presidenza si girano lievemente per guardare sullo schermo la dolce elica delle molecole che poi diventa spirale. Tutti con gli occhi fissi su quelle misteriose combinazioni. La scienza, qualche volta, è un miracolo. Incomprensibile ed elargito come un dono, qui, stasera, a noi comuni mortali.
Quando la spiegazione finisce si leva un applauso lungo e avvolgente. E’ rivolto a lui, ai suoi lunghi anni di ricerca, ma l’orgoglio che accompagna il battimani è esteso anche a noi, che abbiamo ascoltato e preso parte all’esperienza.
Poi il Professore riprende a parlare. Vuole ringraziare i suoi ricercatori, dice. Lo hanno accompagnato per tanto tempo, hanno speso il tempo migliore della giovinezza per seguirlo. Ma accanto a questo non può non ricordare quanto è difficile fare scienza nel nostro Paese, soprattutto nel Sud di questo paese. Applausi. Non alla mancanza di investimenti, credo, ma al coraggio di questa denuncia.
Ma non è solo una questione economica. C’è di più, c’è di peggio, continua il Professore. C’è che i giovani non hanno sogni. Applausi scroscianti. E non hanno orizzonti. Applausi ancora più scroscianti con le teste che annuiscono. C’è che i giovani non si avvicinano più alla scienza perché non hanno spirito di sacrificio. Applausi da scottarsi le mani.
Sullo schermo appare un’immagine che va su e giù per tutto il tempo: il computer è in stand by. Come i pensieri del Professore, forse. Come il pensiero del pubblico, forse. Come le mie riflessioni, sicuramente.
Perché? Perché cavolo applaudire a chi dice che i giovani non hanno sogni? Perché ci compiaciamo di questa affermazione che va su e giù nelle nostre convinzioni? Perché è la verità, mi dicono le persone con cui commento questo brandello di discorso.
Non ci sono sogni, non ci sono orizzonti e non c’è spirito di sacrificio, mi rispondono.
E che c’è? Il vuoto, il nulla, l’assenza di progetti. Non lo vedi? Non è rimasto più niente.
Ecco. E’ soprattutto quel “più niente” che mi opprime. Quand’è che c’è stato un momento in cui si poteva dire: ragazzi qui c’è un orizzonte grande come il cielo, immenso come il numero di molecole che si possono studiare? Quand’è che ci si è sentiti veramente liberi di poter esprimere se stessi?
C’è stato un tempo, una generazione, un giorno della storia in cui tutto o anche solo una piccola cosa sembrava facile e possibile?
Non è sempre stato così? Non è sempre stato così difficile fare scienza, arte, letteratura, musica, poesia, pittura?
E la creatività non si è sempre incuneata tra i meandri degli affanni quotidiani? Degli investimenti che non arrivavano, delle diffidenze di quelli che ci circondavano e di mille altri insormontabili ostacoli.
Al Professore sono state spalancate le porte di fondazioni e enti di ricerca oppure anche lui ha affrontato diffidenza e indifferenza?
Quanto ai sogni: non si sono ancora visti quelli che nascono alla luce del sole. I sogni hanno sempre bisogno del buio per apparire limpidi e precisi. Al massimo, il giorno aiuta a definirli per quello che sono: aspettative, velleità, indicazioni da seguire. E di giorno capisci se ne vale la pena oppure no.
E decidi il da farsi. Anche disegnare gli orizzonti, se proprio servono, se è vero che non ce ne sono.
Non è un discorso da applausi il mio: si viene tacciati di ottimismo, di dabbenaggine, di cecità.
Stasera le lodi sono per il Professore. Niente è più come prima, dice ancora. Prima di lasciare la platea grondante di applausi. Per lui, per la sua ricerca, e per noi che ascoltiamo e assentiamo al pessimismo elargito come un dono.