Scritto sui banchi

18 marzo 2008

segnali di fumo

Racconta Andrea Camilleri che quando era insegnante in un Regio Liceo Classico della sua Sicilia, ritenendo il suo stipendio insufficiente rispetto al lavoro effettivamente svolto, si faceva pagare a parte dai suoi studenti. Se questi avevano voglia di sapere come andava a finire un episodio dell’Illiade o l’esito di una guerra romana, dovevano sganciare: sigarette. E sempre, racconta Andrea Camilleri, i suoi studenti lo pregavano di proseguire. Più sigarette davano – all’epoca si vendevano sfuse – più imparavano.
Oggi anche lui finirebbe su You tube, nella stessa categoria del prof ripreso a fumare mentre spiega. Con questo aneddoto autobiografico, Camilleri non intendeva illustrare la sua nota passione per le bionde ma spiegava come alunni giustamente motivati – pagare se volete sapere – si predisponevano poi ad apprendere. Facendone esplicita richiesta.
Di segnali di fumo se ne vedono in tutte le scuole. I bagni sono così maleodoranti che quando un ragazzo torna in classe è sempre seguito da una puzza di nicotina, vi sono crocicchi di docenti sfumacchiano beatamente, e ripostigli di scope in cui bidelle e segretarie fanno una pausa sigaretta. Ovunque, naturalmente, campeggiano divieti di fumo.
Anzi, adesso che ci penso, nella mia scuola no. Però non si può fumare lo stesso perché è un luogo pubblico.
Un mio ricordo, ora. Il primo giorno di lezione una ragazza mi ha tagliato la strada, uscendo all’aula con la sigaretta accesa che ha poi lanciato sportivamente nel cortile. Quasi priva di esperienza, sono tornata a casa furiosa e ho scritto una lettera al preside chiedendo almeno di posizionare i posacenere nei corridoi. Pensava fosse una boutade e ne abbiamo parlato con garbo. Da non fumatore, mi ha spiegato che il divieto di fumo a scuola è difficile da far rispettare perché i prof fumano e dunque gli alunni si rifiutano di obbedire ad un “fate come dico io ma non fate come faccio io”. Giusto. Però il posacenere nel bar della scuola l’ho portato da casa, perché sino ad allora le cicche si schiacciavano nelle fessure delle finestre. Ed è l’unico dell’istituto.
Stessa scuola, sei anni dopo. Il corridoio in cui sono posizionate le mie classi ha la forma di ferro di cavallo. Frequentemente mi capita di incrociare un collega che fuma insieme agli studenti affacciati a una finestra (e presumibilmente le cicce le buttano giù) mentre dall’altro lato un altro collega tuona: “Spegnete le sigaretteeeee! Qui venite per studiare, non per fumare!!!!”. Sovente le due scene si svolgono in contemporanea, e tutto ciò rende abbastanza schizofreniche le nostre mattinate.
Anche a me non piace che si fumi a scuola, detesto vedere gli estintori zeppi di cenere e mozziconi con i segni di rossetto, mi sento offesa dalle centinaia di sigarette che si accumulano in cortile a fine mattinata, e fino a qualche tempo fa chiedevo, con cortesia, ai ragazzi in corridoio di allontanarsi, di andare fuori, dove si formano quotidianamente splendidi angoli di fumatori e di fumatrici, assai graziosi da vedere. Sembra di essere in un villaggio vacanza. Poi ho smesso anch’io. Di rimbrottare. Quando ho scoperto che nel luogo più sporco e schifoso della scuola, quello in cui le cicche sono a terra, sul pavimento spazzato vanamente più volte al giorno dalle bidelle, ci fuma solo una persona. Ed è un adulto. Né a lui, né a nessun altro dei miei colleghi avrò mai il coraggio di far spegnere una sigaretta. E allora non lo faccio più – o quasi – neanche con i ragazzi. Continuo a chiedere di posizionare dei posacenere, ma mi sento rispondere che sono illegali e che potremmo, per questo, persino finire su you tube.


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