Scritto sui banchi

30 maggio 2008

prime comunioni in città


Era il maggio piovoso… e queste domeniche si riempiono di comunioni, di vestiti di voilè e di brividi per il freddo. E’ il mese delle spose e di preoccupazione degli invitati. Della pioggia che minaccia di rovinare la festa. Del traffico per i regali e le bomboniere. Della fila nelle gioiellerie per i braccialettini d’oro e le penne d’argento che finiranno nei cassetti e saranno ritrovati tra qualche anno e sarà come cercare di ricordare i nomi degli amici abbracciati nelle foto delle vacanze. Chi sono? da dove vengono?

I ragazzini che contano i giorni per ricevere il nintendo e l’x box e le bambine tirano fuori dall’armadio scarpe di seta color avorio. Hanno scritto gli inviti e hanno sviluppato le foto con la digitale da donare agli invitati.
Era il maggio odoroso e questo è il primo verso di una poesia, di una bella poesia. E tu solevi danzare. Leggendola sembra che nulla può scalfire la nostra idea di tempo. Sempre uguale, sempre lo stesso, con le feste che custodiscono promesse, che filano diritto verso il futuro, con il vento tra le parole. Per questo, forse, in passato alle comunioni si regalavano orologi e biciclette.
I doni adesso hanno il tempo ciclico e ripetitivo di un videogiochi, tempo avido e avaro, che consuma scriteriatamente tutte le ore, i minuti, i secondi. Tempo asettico e inodore.
Le strade di questo maggio invece sono raggiunte da onde di tanfo e di roba maleodorante, come quando la porta di un frigorifero si apre e si sente solo il profumo di un avanzo andato a male. Davanti alla chiesa, raggiunta da un tramestio di tacchi e di cellulari che squillano, ci sono ancora i container per la plastica e la carta. Era il maggio odoroso. La raccolta differenziata, quella che doveva partire questo mese in tutta la città, continua a farsi solo nelle parrocchie. Per il resto, pur censurando la parola emergenza, la spazzatura non lascia tregua alcuna. Le vie sono di nuovo tumefatte dai sacchetti e dalle foglie che marciscono, nei pressi di ogni cumulo sono adagiate delle scarpe usate.
E’ un mistero, questo delle scarpe appaiate. Ce ne sono ovunque. Vecchie, consumate, bitorzolute. Da donna e da uomo. Ne devono aver fatta di strada. E adesso sono lì, ferme, immobili. C’è persino chi avanza il sospetto che si tratti di un segnale, di un messaggio cifrato. Perché tante scarpe? Perché sempre a due a due? Impossibile pensare al caso, alla bizza del destino che spezza i tacchi e fa staccare le suole, al capriccio di qualcuno che improvvisamente si ferma, si toglie le scarpe e continua ad andare.
Era il maggio piovoso. La curiosità per un paio di scarpe abbandonate si mescola insieme agli impegni di queste giornate grondanti di luce. Nulla ferma la corsa alla prenotazione al ristorante, al fioraio, alla sarta. Il giorno tanto atteso è arrivato, non ci sono occhi che per la festeggiata. La sposa, la sposina. Con i fiori tra i capelli, i guantini bianchi traforati. Nessuno sembra far più caso né al container accanto alla porta della chiesa né alla montagna di sacchetti poco distante dal bar per l’aperitivo. E’ un giorno di festa, in cui si cerca di ignorare quello che ci circonda. Era il maggio piovoso, era il maggio odoroso. Queste domeniche trasudano di perplessità, per questa normalità che tarda ad arrivare.


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