Scritto sui banchi

01 luglio 2008

chi recupera chi?

Mi fa una cosa vederli a fine luglio a scuola. Con le collane lunghe lunghe e colorate, le canotte, i pantaloni sotto il ginocchio. Potrebbero benissimo andare a mare, invece no: il loro pessimo rendimento scolastico durante l’anno li ha costretti a cambiare meta. A svernare in aule infuocate con le finestre spalancate, tra lezioni delle insegnanti e il sottofondo del ciabattare delle bidelle, con le infradito ai piedi e gli occhiali da sole per tirare su i capelli.
Unica consolazione: sono in tanti. In tutta l’Italia, uno studente su quattro trascorrerà l’estate sui libri. Ovviamente questa definizione fa molto sintesi giornalistica. Nessuno dei miei studenti trascorrerà l’estate sui libri. Al più: con i libri.
Servono o no questi corsi? Sono più utili alla didattica o all’istanza moralistica che da un po’ di tempo la scuola dice di voler recuperare?
Troppo presto per poter dare un giudizio. Se il recupero funziona davvero lo si potrà vedere nel corso del tempo. Per adesso qualche riflessione con i numeri, una specie di sudoku a uso scolastico.
Insegno storia, due ore alla settimana. Dunque in classe si studia la disciplina per una sessantina di ore. I corsi vanno da dieci a quindici ore. Diciamo che può andare, c’è il tempo necessario per riprendere alcuni concetti, per ripetere meglio, per imparare a gestire una interrogazione. Tanto più che nei corsi si è in pochi e dunque c’è più possibilità di essere incisivi.
Il discorso cambia quando le materie prevedono cinque, sei ore alla settimana. Con l’insegnante di latino, ragioneria, italiano al biennio, gli studenti trascorrono dalle cento alle cento cinquanta ore l’anno. Cosa possono mai recuperare in dieci ore? Un singolo argomento, un aspetto specifico del programma, non l’intera disciplina.
E poi, una cosa sono le insufficienze gravi (2- 3), una cosa quelle lievi (4-5).
Ricomincia, intanto, pertanto, a ramificarsi il mercato delle lezioni private. Perché quella cartuccella inviata alle famiglie, quel modulo prestampato in cui si computano le mancanze del figlio, getta nel panico i genitori, che davvero non sanno cosa fare, come destreggiarsi tra competenze abilità e conoscenze da recuperare. E allora: il giro delle telefonate agli amici e agli amici degli amici. In genere è la mamma che provvede a questo compito, a gestire l’umiliazione di un recupero del figlio, a costruire il copione della spiegazione, condito di piccole bugie e grandi verità: lo sai… la fidanzatina, la professoressa ha messo debiti a tutti, hanno fatto tante di quelle ingiustizie…
E così di malessere in malessere. “Come si chiamerebbero (se ci fossero) i cannibali di proff e proff.a?” mi ha scritto una amica l’altro giorno. Non lo so. Ma non credo ci siano cannibali all’uopo, perchè tutti lo sanno che i prof sono indigesti.
Simmetricamente: “Basta con la scuola per tutti” dicono in tono trionfalistico i miei colleghi, “Non ne possiamo più di queste bande di ciucci”, e di “schiovatelle che vengono solo per i uaglioni” (le schiovatelle però non lo so che cosa sono). Fatto così il discorso è un po’ più chiaro. Il recupero non serve a imparare quello che gli studenti non hanno fatto durante l’anno. Per molti prof è solo uno strumento di sbarramento, una dose di coraggio che rende più facile bocciare – “tanto questo che può mai recuperare?”- un recupero della serietà della scuola, della propria immagine, della propria professionalità. E’ giusto? E’ meglio? Non lo so, non ne sono così convinta. Credo che dobbiamo recuperare anche noi qualcosa. E prima dobbiamo capire cosa.


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