Scritto sui banchi

28 agosto 2008

Insegnanti meridionali. precise parole senza risposta

E' tutta l'estate che si parla di scuola. E questi ultimi giorni sono stati quelli a maggiore densità verbale. l'"io vorrei non vorrei ma se vuoi.." della ministra ha scaldato gli animi, surriscaldato la temperatura emotiva del rientro in città. se queste sono le premesse, chissà cosa accadrà il primo settembre. E mentre passa in consiglio c'è il decreto sul sette in condotta, questo è il mio pezzo pubblicato sul Mattino di martedì.

Capita spesso agli insegnanti, di spiegare in classe quanto sia importante utilizzare parole precise, perché più ricco è il linguaggio, più attente sono le parole, migliore è la nostra conoscenza del mondo. Accade però che spesso le parole non sono affatto precise. Sfuggono alle definizioni dei vocabolari, alle gabbie della semantica e costodiscono significati nascosti, sotterranei, ambigui. Per questo, uno stesso termine può essere perfetto e acuminato come una lama, oppure infido e offensivo.

Gli insegnanti meridionali, ad esempio, chi sono? Come si definiscono con precise parole? Occorre un certificato di nascita, certo, ma anche uno di residenza. Al sud bisogna esserci nati, perché quello che sei ti resta dentro per sempre e si sente a ogni latitudine. Ma quelli che nascono in un’altra parte del mondo e poi il destino porta a vivere qui? E quelli che vanno via? Quanto tempo occorre affinché un insegnante meridionale smetta di essere tale? Un anno, un lustro? O non basta neanche una vita intera?

A dispetto della globalizzazione, le radici sono e restano importanti. Ma quanto conta poi tutto quello che accade dopo, che ne è dei viaggi, degli spostamenti, delle cose che “si imparano” nel corso del tempo?

Adesso che il balletto delle affermazioni e delle smentite del Ministro Gelmini è finito, prima che inizi l’anno scolastico, è opportuno che qualcuno spieghi agli insegnanti cosa vuol dire essere meridionali. E cosa vuol dire qualificare o dequalificare i percorsi di istruzione e di formazione.

Tutti quelli che hanno fatto esperienza invece sanno benissimo cosa vuol dire insegnare a scuola, nel Sud. E non perché le scuole del sud siano tutte uguali: centro o periferia, liceo o professionale, nord, centro o sud, edificio nuovo o degradato, sovraffollato o di piccole dimensioni: al variare di una sola di questi elementi, cambia il modo di insegnare, di apprendere, di pensare e di vivere la scuola. Tutte le scuole sono diverse.

L’insegnamento si fa in classe, con le storie di vita dei ragazzi, incontrando lo sguardo dei ragazzi, e non capita spesso di pensarli come gli ultimi in graduatoria nella classifica Pisa Ocse. Capita spesso di raccogliere frammenti di esperienze che reclamano attenzione, interesse, ascolto. E con la stessa urgenza, con la stessa frequenza, le circostanze esterne alla scuola, un fatto di cronaca, un paesaggio che sta cambiando, una bruttura o una meraviglia, entrano di prepotenza in classe, chiedono di essere osservati, compresi, studiati. In una scuola del Sud si insegna e si impara contestualmente, costantemente.
E allora, come è stato possibile raggiungere il fondo della classifica? Forse, come per le parole, anche i dati, i numeri, le cifre, bisogna saperli leggere, comparare, valutare. Come diciamo ai nostri alunni: bisogna saper ragionare.
L’indagine è chiarissima: il sistema scolastico italiano è debole e presenta profonde differenze. Tra la nostra e le altre nazioni, tra il nord e il sud, tra differenti indirizzi scolastici. L’attenzione di questi giorni è concentrata solo sulle variabili legate alla latitudine geografica, con la sottolineatura in rosso di quel “gap” che porta gli studenti settentrionali di cento punti più avanti di quelli meridionali.
Ma cosa misurano esattamente questi test? Non quello che gli studenti conoscono nel senso tradizionale del termine, ma il “sapere attivo” dei ragazzi, ovvero la capacità che consente loro di trasferire quello che si è appreso a scuola nella vita. Una delle domande di scienze (la disciplina in cui i nostri hanno ottenuto la maglia nera), ad esempio, chiedeva di indicare “perché la fermentazione fa lievitare la pasta”. Non sono stati in grado di “spendere” il loro sapere chimico in un ambito diverso. Basso punteggio per le competenze di lettura, anche se nessuno dei testi da comprendere era relativo a testi letterari (che sono spesso i soli letti dagli studenti, dentro e qualche volta fuori scuola) .
Il rapporto Ocse Pisa mette soprattutto in evidenza il disinteresse della scuola per la vita (non solo quella attiva, valutata dalle statistiche). Ci sono saperi difficilissimi da misurare e da pesare, ogni insegnante lo sa. Ma, a questo punto, deve anche sapere come utilizzare queste indagini, senza trasformarle in una guerra di numeri e di parole, di cui la scuola non ne ha affatto bisogno.




3 Comments:

  • Spesso faccio visita al blog e leggoo con interesse i post :-)

    Roberto C.

    Da Anonymous Anonimo, alle 02 settembre, 2008 18:12  

  • grazie roberto, per queste passeggiate virtuali.
    sei ancora un insegnante meridionale che rende efficiente la scuola del nord oppure ti sei trasferito ad altre latitudini? come stai?
    marilena

    Da Blogger Marilena Lucente, alle 02 settembre, 2008 22:45  

  • Mi sono trasferito a Bari. L'idea di restare precario a vita in una provincia del nord non mi rallegrava.
    Naturalmente sono un insegnante di sostegno, per insegnare filosofia c'è tempo! :-)
    Roberto

    Da Anonymous Anonimo, alle 11 settembre, 2008 20:05  

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