Compagni di scuola ai tempi del web
Le mie prime alunne quest’anno hanno compiuto trenta anni e hanno deciso di festeggiarsi. Di ritrovarsi dopo dodici anni dalla maturità. Una chiamata alle armi partita da due ragazze che si sono messe sulle tracce delle compagne nate nel 1975. Sembra solo un’idea carina, invece è stato un lavoro durato quasi un mese. Con i numeri di telefono del vecchio diario sono riuscite a trovare solo le amiche che da casa non si sono mai allontanate, quelle che dopo la scuola si sono sposate, hanno fatto i figli e poi li hanno affidati alle loro madri. Ne hanno trovate tre, chiamando a casa dei genitori a ora di pranzo. Facile. Però è stato difficile disincagliare la conversazione da problemi casalinghi e da lamentele di vario tipo. Alla festa due non sono venute: febbre dei bambini una, marito fuori sede l’altra.
Poi è stata la volta della ricerca dei cellulari, che negli anni Novanta non tutte avevano. Almeno cinque sono emigrate al Nord: per amore, per studio, per lavoro. Hanno risposto con accento vagamente settentrionale ma è bastata una vocale per svelare le più tenaci mistificazioni fonetiche. Infine le mail, una elettrizzante catena di Sant’Antonio che ha coinvolto alunne e qualche prof.
Alla fine si sono accordate per una torta gigante con candeline da spegnere in un locale alla moda non lontano dal loro liceo. Un roof, c’era scritto sull’invito. E io ho temuto perché non sapevo cosa aspettarmi. Una bella sala panoramica sulle luci della città, tutto qui.
Nel “roof” si sono presentate quindici bellissime ragazze. Dovrei dire donne, ma per la prof le alunne sono sempre ragazze. A mo’ di tappezzeria, c’eravamo noi, tre insegnanti. Per l’occasione, le quindici hanno portato: i loro fidanzati storici (stesso atteggiamento blasè di quando aspettavano le fidanzate fuori il portone della scuola: sembravano stessero facendo un favore a qualcuno. A chi?), i mariti, di prima e anche di seconda scelta, le foto dei bambini, qualche amica del cuore.
Una bella serata, punteggiata di ricordi di scuola, vecchie solidarietà, rugginosi rancori, reciproche curiosità. Una girandola di sguardi, una dentro gli occhi dell’altra, a cercare il profilo del proprio volto, a indovinare le piccole rughe nascoste dal trucco. A nascondere le imperfezioni della vita: almeno per una sera. Tutte insieme dietro la torta, spengono le candeline e sorridono per la foto. Io sono dall’altra parte della macchina digitale. Sorrido anch’io. E guardo prima di scattare: Ilaria, la migliore della scuola, fa la dj in una radio e non è riuscita a superare un solo esame all’università; Giulia, che è sempre stata brava e adesso è un’avvocatessa di successo; Rita, chi l’avrebbe mai detto, una sfilza di sei e mezzo presi per forza di inerzia è diventata un’ottima dottoressa; Ornella master in scrittura creativa che prepara i volantini per Carrefour. Mi ha raccontato della sua casa milanese e dei faticosi affanni che si celano dietro ogni dicitura di prezzi e prodotti. Francesca ha svoltato con un marito ricchissimo, veste come una modella ed è qui per prendersi una bella rivincita.
Prenditela Francesca, questa rivincita. Se mai serve a qualcosa. Le traiettorie della vita sono così imprevedibili. Compagni di classe: quelli che hanno fatto i tonfi li conosciamo tutti. Viene lo scoramento persino a guardarli. Quelli bravi a scuola che non reggono agli esami della vita. Quelli che prendono il diploma, lo dimenticano e finalmente sono felici. Fanno gli allenatori di pallavolo, aprono boutique, si impegnano nel sociale. E poi loro: i disel. Lenti e diretti come vecchi treni espresso. Non saltano una fermata, vanno solidi, forti, ignari dei convogli che fanno veloci, non perdono di vista la meta. Arrivano in ritardo (talvolta pauroso) ma arrivano.
“Dite cheese”. “Cheese proffina!” Proffina?! (Ma come fanno a chiamarmi ancora così? Sarà che pure noi per i nostri alunni siamo sempre uguali. E io per loro sono sempre: proffina, come quando ero l’insegnante più giovane della scuola).
Poi è stata la volta della ricerca dei cellulari, che negli anni Novanta non tutte avevano. Almeno cinque sono emigrate al Nord: per amore, per studio, per lavoro. Hanno risposto con accento vagamente settentrionale ma è bastata una vocale per svelare le più tenaci mistificazioni fonetiche. Infine le mail, una elettrizzante catena di Sant’Antonio che ha coinvolto alunne e qualche prof.
Alla fine si sono accordate per una torta gigante con candeline da spegnere in un locale alla moda non lontano dal loro liceo. Un roof, c’era scritto sull’invito. E io ho temuto perché non sapevo cosa aspettarmi. Una bella sala panoramica sulle luci della città, tutto qui.
Nel “roof” si sono presentate quindici bellissime ragazze. Dovrei dire donne, ma per la prof le alunne sono sempre ragazze. A mo’ di tappezzeria, c’eravamo noi, tre insegnanti. Per l’occasione, le quindici hanno portato: i loro fidanzati storici (stesso atteggiamento blasè di quando aspettavano le fidanzate fuori il portone della scuola: sembravano stessero facendo un favore a qualcuno. A chi?), i mariti, di prima e anche di seconda scelta, le foto dei bambini, qualche amica del cuore.
Una bella serata, punteggiata di ricordi di scuola, vecchie solidarietà, rugginosi rancori, reciproche curiosità. Una girandola di sguardi, una dentro gli occhi dell’altra, a cercare il profilo del proprio volto, a indovinare le piccole rughe nascoste dal trucco. A nascondere le imperfezioni della vita: almeno per una sera. Tutte insieme dietro la torta, spengono le candeline e sorridono per la foto. Io sono dall’altra parte della macchina digitale. Sorrido anch’io. E guardo prima di scattare: Ilaria, la migliore della scuola, fa la dj in una radio e non è riuscita a superare un solo esame all’università; Giulia, che è sempre stata brava e adesso è un’avvocatessa di successo; Rita, chi l’avrebbe mai detto, una sfilza di sei e mezzo presi per forza di inerzia è diventata un’ottima dottoressa; Ornella master in scrittura creativa che prepara i volantini per Carrefour. Mi ha raccontato della sua casa milanese e dei faticosi affanni che si celano dietro ogni dicitura di prezzi e prodotti. Francesca ha svoltato con un marito ricchissimo, veste come una modella ed è qui per prendersi una bella rivincita.
Prenditela Francesca, questa rivincita. Se mai serve a qualcosa. Le traiettorie della vita sono così imprevedibili. Compagni di classe: quelli che hanno fatto i tonfi li conosciamo tutti. Viene lo scoramento persino a guardarli. Quelli bravi a scuola che non reggono agli esami della vita. Quelli che prendono il diploma, lo dimenticano e finalmente sono felici. Fanno gli allenatori di pallavolo, aprono boutique, si impegnano nel sociale. E poi loro: i disel. Lenti e diretti come vecchi treni espresso. Non saltano una fermata, vanno solidi, forti, ignari dei convogli che fanno veloci, non perdono di vista la meta. Arrivano in ritardo (talvolta pauroso) ma arrivano.
“Dite cheese”. “Cheese proffina!” Proffina?! (Ma come fanno a chiamarmi ancora così? Sarà che pure noi per i nostri alunni siamo sempre uguali. E io per loro sono sempre: proffina, come quando ero l’insegnante più giovane della scuola).