Scritto sui banchi

29 dicembre 2005

un'amica di hermione


“L’amicizia nn va tradita ma ricordata x tt la vita. L’amicizia è bella km1fiore. è 1 sentimento profondo ke cresce dentro d noi ogni giorno. l’amicizia è km un cucciolo da abbracciare un tesoro da conservare ma senza gelosia x nn farla andare via”. L’sms di Tiziana arriva nel cuore della notte. E’ sabato sera, il segnale del telefonino mi fa quasi sobbalzare. La bustina si apre e ci trovo dentro questa frase senza vocali che tra una consonante e l’altra tracima voglia di raccontare. Sì ma cosa? Ha sedici anni, non è più mia alunna da due ma non ha mai smesso di scrivermi. A volte solo buongiorno prof, altre un verso di una canzone, altre volte un granello di vita quotidiana, tipo ho letto quel libro, ho comprato dei jeans.
L’amicizia è bella km 1 fiore. Credo sia l’effetto delle offerte natalizie degli sms. Magari lo ha mandato a tutti i numeri in rubrica. Non era proprio rivolto a me. Un fiore che lei vuole far sbocciare, spera di veder sbocciare nella sua vita: cinque giorni da mamma, fine settimana da papà. Cammina spedita da una abitazione all’altra, ha una organizzazione perfetta di vestiti, borse per la scuola di danza, cd masterizzati, persino doppi occhiali e doppie confezioni di lenti a contatto. Solo la cartella sballotta insieme a lei di qua e di là. Per il resto: porte girevoli. Entra da mamma e ci trova un mondo. Arriva da papà e si immerge in un altro. Porte girevoli. Girandole di allegria, racconta quando sta bene. Grande rottura di scatole, afferma quando sta male o è stata rimproverata per un quaderno dimenticato nell’altra casa. Magari non ha ben chiaro dov’è che deve seminare germogli, innaffiare le piante e i fiori dell’ amicizia.
E doppi regali a Natale, mi dice questa mattina. “Prof, ha visto Harry Potter e il calice di fuoco?” mi chiede, mostrandomi la foto di Hermione sul display del suo telefonino.
L’ho visto, sì. E al di là della storia, questa volta ancor più intrisa di morte e magia, il film mi è sembrato una bella metafora sull’adolescenza, sulle prove, letteralmente mostruose, che scandiscono il dover crescere. Dover conquistare, scegliere, tenere, lasciare. Soprattutto questo: dover decidere sempre. E dover comprendere che è necessario anche lasciare, lasciare andare. Duro persino per Harry. La sua prova, nel labirinto. “Puoi non essere più lo stesso, puoi non riconoscerti più”, aveva sentenziato con affettuosa apprensione il maestro di Harry.
“No, professoressa, il momento più terribile è quando tu ti riconosci, quando capisci esattamente chi sei e cosa vuoi ma chi sta intorno a te proprio non ne vuole sapere di vedere quello che sei diventata. Ecco perché mi piace Hermione. Puoi essere una studentessa modello, sapere tutto, capire tutto. Però, senza amici e senza un poco di magia, non ce la fai a essere te stessa e a farti accettare. E’ impossibile”.

22 dicembre 2005

Prenota qui Babbo Natale


Roberto e Anna sono venuti a farmi gli auguri. Hanno finito la maturità a giugno e sono al primo anno di università. Venerdì scorso l’esame di matematica e da sabato sono a lavoro: fanno Babbo Natale. Lei cappellino rosso trecce in lana bianche per le strade del centro a distribuire bigliettini di offerte promozionali, lui fa l’animatore e salta da una festa all’altra in città. Distribuisce doni e sorrisi sotto i baffi e la barba bianca che gli cade in continuazione perché l’elastico “si è smollato”. Anna dice che fa troppo freddo con questa minigonna rossa con la balza bianca e i due maglioni di lana nera sotto la giacca natalizia non la proteggono abbastanza. “Ma almeno lavoriamo, professoressa. E’ l’unica possibilità di guadagnare qualcosa”. Prendono dai trenta ai cinquanta euro al giorno. Ma se piove lei resta a casa e non viene pagata.
Mio figlio di quattro anni ragiona sul suo Babbo Natale che arriva il 24 a casa di una nonna e il 25 a casa dell’altra. Due abitazioni distanti trecento chilometri: “Allora Babbo Natale si mette la benzina qui – e si tocca il fianco destro con il ditino – poi si chiude coil tappo sotto la cinta e corre veloce prima di noi per facci trovare i gali”. Da piccolo viaggiatore qual è, si è dovuto dare una spiegazione che mi sembra molto plausibile, in linea con le sue competenze automobilistiche, perfettamente integrate nel suo universo fantastico.
Anche all’asilo privato, dopo lo spettacolino – un candido festivalbar invernale di canzoncine, poesie e balletti su amiciziapaceebontà e genitori ammirati e attrezzati di videocamere, telefonini e macchinette digitali- è arrivato Babbo Natale con il suo grande sacco colmo di panettoni e pandoro formato mini da distribuire a bambini e genitori. “Mamma, quello è il marito della maestra”, mi dice Alessandro nell’orecchio. E’ vero, non l’avevo riconosciuto. Lei lo avrà costretto, mica poteva permettersi la spesa di un animatore. Con la metà dei soldi hanno comprato panettoni per tutti: questo passa il convento di un piccolo asilo privato annidato in un condominio.
Alessandro a sette anni ha incominciato il tirocinio come smascheratore delle bugie degli adulti Non sa ancora quanta strada gli toccherà percorrere ma ha già sperimentato la prima amarezza: una compagna di classe ha detto a tutti che Babbo Natale non esiste. Lui ha pianto un intero fine settimana. Noi mamme abbiamo fatto un piccolo summit telefonico: Che facciamo? Glielo diciamo? No, è troppo presto. Va bene, loro sono “grossi”, ma per i fratellini più piccoli come si fa? Non è giusto! Ma questa come si è permessa? Tanto prima o poi lo sapranno, meglio prima se no “crescono a soggetti”.
Mi spiegano che “i soggetti” sono, a dispetto delle mie certezze grammaticali, i bambini o i ragazzi ingenui e sciocchi e come tali sono presi in giro dai coetanei o peggio ancora dai compagni più grandi. Ecco perché tutte concordiamo che è meglio evitare di farli crescere in questo modo orribile. Niente soggetti, diciamo la verità! A sorpresa però, un altro giro di telefonate nel tardo pomeriggio della domenica, ribalta il risultato iniziale. Nessun genitore aveva ancora confessato.
Allora una mamma suggerisce di fare terra bruciata intorno alla compagna: lei dice così perché forse Babbo Natale non andrà da lei perché ha detto questa bugia: cioè che Babbo Natale non esiste.
Insomma, un disastro di menzogne e verità. Personalmente ho rispettato gli accordi presi con le altre mamme: facciamoci quest’altro Natale. Ma sono convita che ciascun bambino ha deciso autonomamente e sa bene chi e cosa desiderare: un grande uomo che è la bontà fatta persona, un dispenser di regali, una bugia raccontata chissà perché da mamma e papà. Penso che in ogni caso considerino noi adulti un po’ “soggetti” ma si guardano bene dal dircelo e soprattutto difendono la loro favola di Natale. Di quest’altro Natale. Nel frattempo Roberto e Anna continuano a lavorare: “Avete letto i volantini: prenota qui il tuo Babbo Natale? Quello sono io, professoressa”, dice lui, tutto orgoglioso .

18 dicembre 2005

Avvolto nel celophane


Arriva, arriva. Inesorabile. Il Natale. E ad alcuni piace sempre meno. Una festa fatta di stelle dorate e fiori rossi, offerte di panettoni farciti e babbonatali a farci la posta. Quest’anno poi si arrampicano. Si porta così: senza renne, appesi alle finestre, sulle scale, abbarbicati ad una corda, in bilico su una altalena. Sale Babbo Natale, e spinge in alto il nostro sguardo. Sfiorando facciate e balconi. Sfidando il vento e la pioggia. Sagome ingombranti che punteggiano le consuete prospettive visive. Felicità surrogata. Plastificata. Impacchettata ed esposta in vetrina. Compilation di astrodelciel, wonderlfulword e scampanellii di renne in cd taroccati. Giri per i regali che mandano fuori giro.
Per chi è a scuola: poesie da ricopiare sul cartoncino, leggende di Natale da raccontare, alberi da addobbare nel corridoio, presepi da realizzare in sezione. Bellezza della scuola dell’infanzia e della scuola elementare dove muri e finestre trascrivono brani di realtà, si sintonizzano con i mesi dell’anno, con il tempo che passa, i frutti che porta, i segni della natura e quelli degli uomini. Una scuola capace di aprirsi al mondo e di accoglierlo, di nutrirlo e di raccontarlo con i disegni, le letture, i colori, la ceramica e la plastilina.
“L’albero di Natale/è fatto di palline/di luci e musichine/di doni e candeline. / Ha nastri fiocchi/ e piccoli angioletti…”. Intere settimane per imparare catene di versi, porzioni di pomeriggi dedicati alle poesie. Testi ripetuti per il piacere di sentire e risentire la propria voce, di scoprire nuovi significati dentro le stesse cose, di seguire imprevedibili associazioni tra parole, oggetti e sensazioni. Brevi esordi di un apprendistato poetico che forse, si spera, potrà continuare in seguito.
“Finito l’assegno”, lo sguardo dei piccoli si posa sui cataloghi dei giocattoli dei supermercati, oramai diventati riviste da decine di pagine che ingolfano la casetta della posta e la pazienza dei genitori. Un universo merceologico scintillante (e infinito). La letterina a Babbo Natale è un elenco della spesa lunghissimo distribuito con economica lungimiranza tra i familiari. L’altro giorno fuori le scuole elementari hanno distribuito un cartoncino a righe con una traccia tipo: scrivi una lettera originale a Babbo Natale chiedendo qualcosa di buono per il mondo.
Un’idea meritoria, partita però da un megastore alla periferia di Caserta, la cui foto campeggiava sul retro del foglio. Un megastore che poi avrebbe raccolto e premiato i testi degli studenti.
Bontà avvolta nel cellophane. Declamata da babbonatali promoter e animatori, ragazzi e ragazze disoccupate che aspettano la festa per lavorare. Bontà buona e rassicurante. Come la beneficenza di questo fine settimana, fatta regalando un paio di euro dal telefonino guardando la tv. Bontà in confezione risparmio. Magari con un gadget in regalo: un palloncino con la scritta di una fondazione, una bambola di stoffa per fare del bene a tutti i bambini del mondo. Bontà che non ci dovrebbe bastare. Almeno a Natale.

11 dicembre 2005

E all'improvviso: costantino


Di bello è bello. Avete ragione voi. E’ bello, sì. Ed è seduto lì di fronte a me. Che coincidenza! Anche Agata mi aveva detto di averlo incontrato al ristorante la settimana scorsa a Pescara. Lo raccontava, elettrizzata, alle clienti del negozio cotonando i capelli più alti del solito. Divismo di seconda mano, avevo pensato pettinandomi a casa a modo mio. Invece. Invece, la prossima volta che vado dal parrucchiere le dirò: lo sai che “anche io” ho visto Costa? E le racconterò che eravamo proprio ad un metro di distanza e che … insomma le farò un resoconto assai simile al suo. Poi mi venite in mente voi. Tina, Enza, Veronica e tutte le ragazze innamorate perse di Costantino. “Senti io ho un centinaio di alunne che sono tue fans. Mi faresti un autografo per ciascuna di loro?”. “Stai scherzando?” mi chiede sfoderando il primo megasorriso di ordinanza. Sì, sto scherzando, confesso immediatamente sbugiardata e impietosita dal mio modo pietoso di attaccare bottone. (E’ che ho perso l’allenamento per questo genere di cose, non mi ricordo più come si fa). “Però è vero che sono insegnante e che ho un centinaio di alunne che sono pazze di te”. E non sono più di fronte a lui, ma sono seduta al suo tavolo, mentre prende il caffè. Gli giro qualche episodio della vita scolastica in cui c’è lui. Del laboratorio di giornalismo in cui i collegamenti a internet si aprivano sempre con una visita al suo sito. Si diverte abbastanza. O finge di divertirsi, non saprei. “Ma che effetto ti fa tutto questo?”. Mette su un tono un po’ blasè. “Niente, nessun effetto. Sono una persona normale, sono qui, tra un po’ andrò a lavorare, stasera torno a Roma a girare una trasmissione. Sono un personaggio mediatico. Sono contento di quello che viene. Sono contento. Tutto il resto riguarda voi”. E’ vero è una persona normale ma con un lavoro che se non è speciale ha comunque qualcosa di particolare. E’ qui perché deve inaugurare un ipermercato. E tira fuori una piccola telecamera con il video di quello che è successo ieri sera. Lui sul palco e loro sotto. Un mare di ragazzi e ragazze che si sentono un solo cuore insieme a lui. Centinaia di fari telefonini che gli scattano foto e riprendono video. Un’onda di voci: costa-costa-costa. “Ogni volta accade questo”. E tu? “E io sono contento”. Parliamo ancora un po’. Gli piace vedere e far vedere il pubblico. “Queste cose qui ci sono sempre state. Ognuno poi si sceglie il divo che gli piace. A loro piaccio io”. Glissa benissimo le questioni che non gli interessano o che forse lo irritano (gli sto ponendo troppi perché o troppe domande?).
“Me le saluti tanto le tue alunne?” Trentesimo (e più) splendidosorriso di ordinanza. Certo che te le saluto. E si guardano pure la foto della prof. accanto a Costantino. Io intanto vado da Agata.

05 dicembre 2005

lo sai ke io...tvb

Domenica mattina al parco. Mentre i piccoli fanno acrobazie sullo scivolo, io mi concentro nella lettura delle decine di frasi “vergate” sui pioli della scala di legno. Questa mi piace particolarmente. La ragazza mi sembra sveglia e volitiva. Lei si è stancata e adesso sta a lui gestire le conseguenze. Che dovrebbero essere abbastanza serie: "ora, però...". Più che un monito per lui - che tanto non la capisce - sembra un promemoria, o un insegnamento per altre ragazze come lei. Qualche volta un moto di rivolta ci vuole, anche in amore. Soprattutto in amore.
Lungo il tragitto casa scuola, le scritte mi vengono incontro con la forza dei punti esclamativi, con il vigore del tratto del pennarello, con le dimensioni delle lettere. Una sorta di elettrocardiogramma delle gioie, dei dolori, delle irritazioni e delle provocazioni della vita degli studenti dell'istituto. Un elettrocardiogramma aggiornato minuto per minuto: un filone (con data), un nuovo amore (con i nomi dei protagonisti), un numero di cellulare che promette bene (molto bene). Le leggo con la coda dell’occhio e qualche volta mi ritornano in mente, nel corso della giornata, quasi fossero un enigma da risolvere. Nel sottopasso, attraversato di corsa: “Oggi il mio ragazzo mi ha lasciato. Che bello sono finalmente libera”. Credo ci sia la firma di una quindicenne, tipo “Lucy 90”. A quindici anni il tuo ragazzo ti lascia e tu sei così felice che lo scrivi su un muro? A quindici anni ti sentivi oppressa da un fidanzato? E con chi stavi? Con un tuo coetaneo? Con uno più grande? Con il custode di Poggioreale?
In classe le vedo. Le ragazze scrivono il nome del loro amore di turno sui banchi, agli angoli dei quaderni, sulla fronte dei personaggi di storia. Cuori, cerchietti e iniziali intrecciate. Penna a biro e evidenziatore giallo. Un amore che rivendica visibilità, attenzione. Un amore che vuole colpire nel segno: cuori, cerchietti e iniziali intrecciate. Un amore al femminile.
I ragazzi hanno altre scritture. Almeno io non ho mai visto un alunno scrivere mille volte il nome della ragazza sul foglio. Meno che mai tracciare il contorno di un cuoricino. I più romantici, se vogliono far sapere in giro che hanno una fidanzata, al massimo indossano qualche collanina, un braccialetto di cuoio. Ma scrivere il nome della ragazza proprio no. A meno che si chiudano le porte dell’amore e si spalancano quelle del sesso. Poche insistite aggettivazioni possono bastare. Stesso mistero, stessa indicibilità dei sentimenti.
Hanno voglia di essere innamorati. Ragazzi e ragazze. Entrano ed escono da questo sentimento con passo ogni volta diverso. Con spavalderia, con entusiasmo, con una timidezza che quasi paralizza. Giovanni, 17 anni, fidanzato con una commessa Ikea di Roma, 25 anni. Conosciuta in chat. Mai vista. Stanno insieme da sei mesi. Ha chiesto ai suoi se può raggiungerla quando diventerà maggiorenne. A febbraio. Spesso lo trovo nel cortile della scuola intento nella sua scrittura. Chatta dal telefonino.
Anna, 15 anni. Appena può esce dalla classe e raggiunge il suo fidanzato dell’aula accanto. Si abbracciano e si baciano fingendo un accenno di imbarazzo quando passiamo noi prof. Poi ricominciano come prima. Sono i compagni che li costringono ad entrare in classe. Altrimenti gli altri non possono uscire. Lei entra e gli manda sms: tvb. Oppure: tvtb. Oppure: tvtttb.
Ti voglio bene, ti voglio tanto bene, ti voglio tanto tanto tanto tanto bene.
Un amore fatto di sigle. Ce ne sono altre che ignoro. Come sarà ti amo? Ta. E’ probabile.
Due lettere, in attesa che qualcosa si schiuda. Nella speranza che quelle due lettere fioriscano. In altre scritture. Ma non solo.


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La scuola è un racconto. Scritto sui banchi continua sul web ogni settimana. Con storie, immagini e dialoghi.

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