lo sai ke io...tvb
Domenica mattina al parco. Mentre i piccoli fanno acrobazie sullo scivolo, io mi concentro nella lettura delle decine di frasi “vergate” sui pioli della scala di legno. Questa mi piace particolarmente. La ragazza mi sembra sveglia e volitiva. Lei si è stancata e adesso sta a lui gestire le conseguenze. Che dovrebbero essere abbastanza serie: "ora, però...". Più che un monito per lui - che tanto non la capisce - sembra un promemoria, o un insegnamento per altre ragazze come lei. Qualche volta un moto di rivolta ci vuole, anche in amore. Soprattutto in amore.
Lungo il tragitto casa scuola, le scritte mi vengono incontro con la forza dei punti esclamativi, con il vigore del tratto del pennarello, con le dimensioni delle lettere. Una sorta di elettrocardiogramma delle gioie, dei dolori, delle irritazioni e delle provocazioni della vita degli studenti dell'istituto. Un elettrocardiogramma aggiornato minuto per minuto: un filone (con data), un nuovo amore (con i nomi dei protagonisti), un numero di cellulare che promette bene (molto bene). Le leggo con la coda dell’occhio e qualche volta mi ritornano in mente, nel corso della giornata, quasi fossero un enigma da risolvere. Nel sottopasso, attraversato di corsa: “Oggi il mio ragazzo mi ha lasciato. Che bello sono finalmente libera”. Credo ci sia la firma di una quindicenne, tipo “Lucy 90”. A quindici anni il tuo ragazzo ti lascia e tu sei così felice che lo scrivi su un muro? A quindici anni ti sentivi oppressa da un fidanzato? E con chi stavi? Con un tuo coetaneo? Con uno più grande? Con il custode di Poggioreale?
In classe le vedo. Le ragazze scrivono il nome del loro amore di turno sui banchi, agli angoli dei quaderni, sulla fronte dei personaggi di storia. Cuori, cerchietti e iniziali intrecciate. Penna a biro e evidenziatore giallo. Un amore che rivendica visibilità, attenzione. Un amore che vuole colpire nel segno: cuori, cerchietti e iniziali intrecciate. Un amore al femminile.
I ragazzi hanno altre scritture. Almeno io non ho mai visto un alunno scrivere mille volte il nome della ragazza sul foglio. Meno che mai tracciare il contorno di un cuoricino. I più romantici, se vogliono far sapere in giro che hanno una fidanzata, al massimo indossano qualche collanina, un braccialetto di cuoio. Ma scrivere il nome della ragazza proprio no. A meno che si chiudano le porte dell’amore e si spalancano quelle del sesso. Poche insistite aggettivazioni possono bastare. Stesso mistero, stessa indicibilità dei sentimenti.
Hanno voglia di essere innamorati. Ragazzi e ragazze. Entrano ed escono da questo sentimento con passo ogni volta diverso. Con spavalderia, con entusiasmo, con una timidezza che quasi paralizza. Giovanni, 17 anni, fidanzato con una commessa Ikea di Roma, 25 anni. Conosciuta in chat. Mai vista. Stanno insieme da sei mesi. Ha chiesto ai suoi se può raggiungerla quando diventerà maggiorenne. A febbraio. Spesso lo trovo nel cortile della scuola intento nella sua scrittura. Chatta dal telefonino.
Anna, 15 anni. Appena può esce dalla classe e raggiunge il suo fidanzato dell’aula accanto. Si abbracciano e si baciano fingendo un accenno di imbarazzo quando passiamo noi prof. Poi ricominciano come prima. Sono i compagni che li costringono ad entrare in classe. Altrimenti gli altri non possono uscire. Lei entra e gli manda sms: tvb. Oppure: tvtb. Oppure: tvtttb.
Ti voglio bene, ti voglio tanto bene, ti voglio tanto tanto tanto tanto bene.
Un amore fatto di sigle. Ce ne sono altre che ignoro. Come sarà ti amo? Ta. E’ probabile.
Due lettere, in attesa che qualcosa si schiuda. Nella speranza che quelle due lettere fioriscano. In altre scritture. Ma non solo.
Lungo il tragitto casa scuola, le scritte mi vengono incontro con la forza dei punti esclamativi, con il vigore del tratto del pennarello, con le dimensioni delle lettere. Una sorta di elettrocardiogramma delle gioie, dei dolori, delle irritazioni e delle provocazioni della vita degli studenti dell'istituto. Un elettrocardiogramma aggiornato minuto per minuto: un filone (con data), un nuovo amore (con i nomi dei protagonisti), un numero di cellulare che promette bene (molto bene). Le leggo con la coda dell’occhio e qualche volta mi ritornano in mente, nel corso della giornata, quasi fossero un enigma da risolvere. Nel sottopasso, attraversato di corsa: “Oggi il mio ragazzo mi ha lasciato. Che bello sono finalmente libera”. Credo ci sia la firma di una quindicenne, tipo “Lucy 90”. A quindici anni il tuo ragazzo ti lascia e tu sei così felice che lo scrivi su un muro? A quindici anni ti sentivi oppressa da un fidanzato? E con chi stavi? Con un tuo coetaneo? Con uno più grande? Con il custode di Poggioreale?
In classe le vedo. Le ragazze scrivono il nome del loro amore di turno sui banchi, agli angoli dei quaderni, sulla fronte dei personaggi di storia. Cuori, cerchietti e iniziali intrecciate. Penna a biro e evidenziatore giallo. Un amore che rivendica visibilità, attenzione. Un amore che vuole colpire nel segno: cuori, cerchietti e iniziali intrecciate. Un amore al femminile.
I ragazzi hanno altre scritture. Almeno io non ho mai visto un alunno scrivere mille volte il nome della ragazza sul foglio. Meno che mai tracciare il contorno di un cuoricino. I più romantici, se vogliono far sapere in giro che hanno una fidanzata, al massimo indossano qualche collanina, un braccialetto di cuoio. Ma scrivere il nome della ragazza proprio no. A meno che si chiudano le porte dell’amore e si spalancano quelle del sesso. Poche insistite aggettivazioni possono bastare. Stesso mistero, stessa indicibilità dei sentimenti.
Hanno voglia di essere innamorati. Ragazzi e ragazze. Entrano ed escono da questo sentimento con passo ogni volta diverso. Con spavalderia, con entusiasmo, con una timidezza che quasi paralizza. Giovanni, 17 anni, fidanzato con una commessa Ikea di Roma, 25 anni. Conosciuta in chat. Mai vista. Stanno insieme da sei mesi. Ha chiesto ai suoi se può raggiungerla quando diventerà maggiorenne. A febbraio. Spesso lo trovo nel cortile della scuola intento nella sua scrittura. Chatta dal telefonino.
Anna, 15 anni. Appena può esce dalla classe e raggiunge il suo fidanzato dell’aula accanto. Si abbracciano e si baciano fingendo un accenno di imbarazzo quando passiamo noi prof. Poi ricominciano come prima. Sono i compagni che li costringono ad entrare in classe. Altrimenti gli altri non possono uscire. Lei entra e gli manda sms: tvb. Oppure: tvtb. Oppure: tvtttb.
Ti voglio bene, ti voglio tanto bene, ti voglio tanto tanto tanto tanto bene.
Un amore fatto di sigle. Ce ne sono altre che ignoro. Come sarà ti amo? Ta. E’ probabile.
Due lettere, in attesa che qualcosa si schiuda. Nella speranza che quelle due lettere fioriscano. In altre scritture. Ma non solo.
2 Comments:
Dietro l'ostentazione fanciullesca dei sentimenti, l'amara fugacità delle "storie". Stucchevolmente chiaro?
Da Anonimo, alle 10 dicembre, 2005 16:35
"l'illusione della felicità è sempre la felicità di una illusione".
due righe appena per un commento di appena due righe. la frase l'ho letta ieri mattina nel libro di Justine Lèvy, Incontro. Sarà stato il freddo pungente della stazione, però per me è un libro raggelante. La storia di una figlia adolescente e di un appuntamento con la madre. Una madre disperatamente sola e persa nella vita. E' lei che pronuncia questa frase - l'illusione della felicità... - e ed è lei a dispensare amari insegnamenti a sua figlia. Un'amarezza che la donna trova dentro il suo matrimonio (infatti è separata) prima ancora che dentro le storie fugaci. non so cosa ne è della ragazza che non ha mai conosciuto sentmenti fanciulleschi. il libro devo ancora finirlo.
Da Marilena Lucente, alle 11 dicembre, 2005 11:10
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