Scritto sui banchi

01 febbraio 2006

solo se interrogato


“Federico, sei per sette?” “Quarantadue”, esclama Arianna. “Ho detto Federico…” dice laconica la maestra. Rassegnata al fatto che Federico quelle tabelline ci metterà ancora un po’ ad impararle.
“Tre per no..?” “Ventisette”. Ancora! Arianna è proprio un fulmine. Non solo in matematica. E’ così anche in italiano, in inglese, in informatica. Brava, da inorgoglire tutte le maestre.
Federico pure le conosce le tabelline. Solo che prima di rispondere fa dei suoi ragionamenti. Sei per sette quarantadue più due quarantaquattro. Come la canzone dello Zecchino d’Oro. A ventisette ci arriva facendo trenta meno tre. E’ lento. Non riesce a rispondere prima dei suoi compagni. E non ha alcun senso della competizione.
Mani in alto, in classe, addio. Una inconsueta decisione presa qualche giorno fa in un liceo londinese. Ultima trovata pedagogica o efficace strategia didattica? A scuola bisogna imparare a controllare la propria impulsività e a prendersi la responsabilità di rispondere quando si è interpellati. Troppo schiacciante il confronto tra i bravi e i meno bravi, tra alunni brillanti e altri che invece non riescono a esprimersi e vivono comodamente sotto sotto i banchi. A volte soffrendoci. A volte marciandoci. E allora il silenzio non nasconde timidezza ma solo una sana e coerente assenza di studio.
Sfumature non sempre facili da capire. Dove finisce la confusione e dove incomincia la frustrazione, l’ansia, la paura rispetto ai compiti che gli sono stati assegnati (e che spesso non sono stati nemmeno capiti)? Talvolta i ragazzi non temono tanto la maestra o il prof, ma i compagni di banco, i leader della classe, i genitori a casa, che assegnano, non troppo inconsapevolmente, altri compiti ai figli.
Il ricettario educativo di queste ultimi anni ha sfornato varie proposte: dall’istruzione individualizzata all’apprendimento cooperativo. Ovvero: dalla possibilità di costruire itinerari su misura delle capacità, delle potenzialità e degli interessi dell’allievo, alla necessità di allestire ambienti di apprendimento in cui tutti – alunni o insegnanti – rappresentino una risorsa per gli altri. Tutti, anche gli alunni che non hanno niente da dire, a condizione di lavorare in gruppo.
Ovvio che l’erudizione dei libri di pedagogia non vale l’esperienza della pratica didattica.
E poi, la competizione, cacciata fuori dalla porta della scuola, rientra dalle altre mille finestre della vita degli studenti: dalla collezione di figurine dei ragazzini alle corse in moto degli adolescenti. O alligna nel portone accanto. Lo sa bene il povero Gaetano (Troisi) di Ricomincio da tre, vicino suo malgrado, "di un bambino che sapeva fare tutto: addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni. Sapeva la tabellina del due del tre del quattro del cinque. E suonava pure il pianoforte! Ma con tante case che ci stavano proprio vicino alla mia doveva venire ad abitare?”. E pensare che forse, “il vicino mostro”, non aveva mai alzato la mano.

1 Comments:

  • Un abbraccio a Federico, io ero come lui a scuola e ho finito con l'odiarla, la matematica... (mica solo quella eh, anche il greco!) tra primi della classe che deridevano e genitori che sapevano solo dire studia che è il tuo dovere e mai un brava... che vitaccia, mai che sapessero capire che ognuno ha la sua strada e la matematica non faceva esattamente parte della mia...
    ciao!
    Alliandre (traduttrice ;-) )

    Da Blogger Alliandre, alle 20 febbraio, 2006 12:56  

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