Scritto sui banchi

18 gennaio 2006

Chissà se lo sa


“I professori non ci chiedevano mai se eravamo feliciiii. Chissà se lo saaa” .
Sono sicura, lo so, è Andrea, che canta non casualmente fuori la porta dell’aula dove sto facendo lezione. Si gioca persino la carta di Luca Carboni: vuole fare effetto sul mio cuore duro di prof a fine quadrimestre. Vuole colpevolizzarmi. Per i suoi due pomeriggi passati a studiare italiano invece che andersene in giro. Non gli chiediamo mai se sono felici. E lo dice con un’intonazione straziante. Non sappiamo ascoltarli, ignoriamo i loro problemi, le loro vite. Quasi quasi ci casco. Sensi di colpa da insegnante che adesso pensa solo ai voti e agli scrutini già fissati per i primi di febbraio. “Ma Silvia lo saaaa”.
“Ecco, te lo chiedo io: “A Silvia” la sai, alla professoressa?”. Se non altro Andrea è simpatico: ho aperto la porta e l’ho trovato spiaccicato contro il muro del corridoio che continuava a canticchiare e verseggiare. “Buongiorno professoressa, chi Silvia? No, quella è la canzone”. “Ho capito che è la canzone, ma non possiamo ragionarci meglio su Silvia e su qualche altra poesia di Leopardi, magari in classe ?”
“Perché professoressa?” Come perché? Perché devi essere interrogato, perché tra dieci giorni finisce il quadrimestre, perché quest’anno hai gli esami.
Sembra gli stia dicendo cose assolutamente improbabili, per nulla interessanti o riguardanti la sua vita. Nel suo sguardo, nel suo sorriso che non cede neanche di un millimetro per tutto il tempo della nostra conversazione, non ci leggo la sfida o il rifiuto. Semplicemente lui crede che questo voto sia un problema più suo che mio. Perché Andrea con la scuola ha chiuso i conti da un paio d’anni. Più esattamente: “si è sfastidiato”. E ogni domanda che gli porgo – non ti chiedo se sei felice, ma mi piacerebbe tanto capire quando, perché tu e la scuola avete chiuso la partita - ha come risposta un’alzata di spalle. Allora basta con le questioni esistenziali. “ Quand’è che vuoi essere interrogato?”.
“Io questo vi volevo dire, professoressa. Ho troppo arretrato, di tutte le materie. Posso avere una proroga? Lo sapete, in classe sto attento, mi piace la letteratura. E’a studiare che non ce la faccio”.
Alla fine ci accordiamo per una dilazione: tutto il programma diviso in due interrogazioni, una per settimana. Ora deve ritornare in classe, il prof della sua ora si sarà pure arrabbiato. Svolta l’angolo e la voce continua a spandersi nel corridoio: “chissà se lo saaaaa”.
Sono ancora stremata da questa conversazione e mi raggiunge Amalia: “Professoressa, quando posso venire per l’interrogazione da otto?”


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La scuola è un racconto. Scritto sui banchi continua sul web ogni settimana. Con storie, immagini e dialoghi.

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