che quadri!
Capita, a volte. Le scene topiche, i momenti chiave dei migliori anni della nostra vita, ad un certo punto vengano considerati inutili, sbagliati, nocivi. Di più: nocivi, dannosi, pericolosi. Come è possibile? Ci sono, ci siamo passati tutti e adesso scopriamo di aver vissuto a nostra insaputa un trauma tremendo, oltre che di essere stati stimolati nella aggressività e competitività. Questi, secondo gli psicologici, sarebbero gli effetti, primari e secondari, dei quadri. Quadri scolastici, ovviamente.
I tabelloni appesi a conclusione dell’anno scolastico, su cui sono segnati – e dunque resi pubblici - i risultati conseguiti dagli studenti. Quel non ammesso alla classe successiva, quel breve giro di parole che di fatto vuol dire sei stato bocciato, non deve essere scritto lì, sotto gli occhi di tutti. Secondo alcuni psicologi (ne spuntano come funghi ogni volta che si parla di ragazzi e di scuola) si tratta di una inutile frustrazione, di una sofferenza gratuita che può spingere anche a gesti gravi e inconsulti. Sarebbe preferibile un colloquio con le famiglie in cui si spiegano le ragioni della bocciatura.
Anche i voti positivi non andrebbero resi pubblici: i confronti generano conflitti, i più bravi che guardano con aria di sufficienza i meno bravi, ci si odia per un (piccolo) pugno di numeri, ancora frustrazione, ancora sofferenza. Niente quadri. Tutto consegnato in busta chiusa ai genitori durante un ulteriore, forse ultimo, colloquio tra genitori e professori.
Ho dei dubbi. Magari qualcosa di vero c’è in questo discorso. Però chi vive nella scuola lo sa: una bocciatura è un trauma. Ma non solo per gli studenti. I docenti, i genitori, prima di arrivare a quel non ammesso alla classe successiva hanno attraversato lande di indifferenza, incomunicabilità, rifiuti, qualche volta strafottenza. E di certo tutto questo spalare impreparati, dissodare il terreno perché un tre diventi almeno quattro, ragionare in consiglio di classe, discutere con i genitori, mica si legge sul tabellone.
Sui quadri poi ci sono persino sei di diverso colore. Come un mazzo di carte da ramino, sui quadri cambiano i colori: sei rossi (truccati), sei neri (veri, forse). i chiamano “debiti”: contratti tra alunni e professori o degli alunni con se stessi? Lunedì escono i quadri ma già la città è stata tappezzata di manifesti. Un istituto parificato, in caratteri giallo e rosso si urla: “Hai perso l’anno? Trasforma la tua bocciatura in promozione”. L’ho letto. E un senso di inutile frustrazione e sofferenza gratuita si è impadronito di me. “Mettiti scorno!”, ho pensato rileggendolo. Anche se non sapevo bene a chi mi stavo rivolgendo: alla scuola parificata, all’alunno bocciato che adesso sarà promosso, a me e a tutti i prof come me, agli psicologi e alle loro diagnosi sopra le righe, o forse, proprio ai “quadri”.
I tabelloni appesi a conclusione dell’anno scolastico, su cui sono segnati – e dunque resi pubblici - i risultati conseguiti dagli studenti. Quel non ammesso alla classe successiva, quel breve giro di parole che di fatto vuol dire sei stato bocciato, non deve essere scritto lì, sotto gli occhi di tutti. Secondo alcuni psicologi (ne spuntano come funghi ogni volta che si parla di ragazzi e di scuola) si tratta di una inutile frustrazione, di una sofferenza gratuita che può spingere anche a gesti gravi e inconsulti. Sarebbe preferibile un colloquio con le famiglie in cui si spiegano le ragioni della bocciatura.
Anche i voti positivi non andrebbero resi pubblici: i confronti generano conflitti, i più bravi che guardano con aria di sufficienza i meno bravi, ci si odia per un (piccolo) pugno di numeri, ancora frustrazione, ancora sofferenza. Niente quadri. Tutto consegnato in busta chiusa ai genitori durante un ulteriore, forse ultimo, colloquio tra genitori e professori.
Ho dei dubbi. Magari qualcosa di vero c’è in questo discorso. Però chi vive nella scuola lo sa: una bocciatura è un trauma. Ma non solo per gli studenti. I docenti, i genitori, prima di arrivare a quel non ammesso alla classe successiva hanno attraversato lande di indifferenza, incomunicabilità, rifiuti, qualche volta strafottenza. E di certo tutto questo spalare impreparati, dissodare il terreno perché un tre diventi almeno quattro, ragionare in consiglio di classe, discutere con i genitori, mica si legge sul tabellone.
Sui quadri poi ci sono persino sei di diverso colore. Come un mazzo di carte da ramino, sui quadri cambiano i colori: sei rossi (truccati), sei neri (veri, forse). i chiamano “debiti”: contratti tra alunni e professori o degli alunni con se stessi? Lunedì escono i quadri ma già la città è stata tappezzata di manifesti. Un istituto parificato, in caratteri giallo e rosso si urla: “Hai perso l’anno? Trasforma la tua bocciatura in promozione”. L’ho letto. E un senso di inutile frustrazione e sofferenza gratuita si è impadronito di me. “Mettiti scorno!”, ho pensato rileggendolo. Anche se non sapevo bene a chi mi stavo rivolgendo: alla scuola parificata, all’alunno bocciato che adesso sarà promosso, a me e a tutti i prof come me, agli psicologi e alle loro diagnosi sopra le righe, o forse, proprio ai “quadri”.
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