Scritto sui banchi

09 luglio 2006

ragazzini mondiali

A poche ore dalla partita. Ripensando ai goal dentro le emozioni di questi giorni. Come è andata? Chiedo ad un alunno, a esami finiti. “Papà con la cucchiarella che batteva sopra la pentola…”. “Brasiliani. Siamo diventati tutti brasiliani. E’ esasperante, pericoloso”, commenta dopo un collega, in tono sociologico e preoccupato. La cucchiarella mica è brasiliana. Però in questi giorni la febbre da calcio si sente eccome. Sarà per le stelle che cadono e quelle che vanno sempre più in alto, confondendosi con i fuochi di artificio. Sembra una cosa da grandi, il calcio. Invece è semplicemente grande, visto con gli occhi dei ragazzini. Che si dannano per un goal che non entra nel cancello del parco trasformato in porta. Che durante i mondiali sono lì a cantare con la mano sul petto: Fratelli d’Italia. E che, se va bene, se qualche adulto li accompagna, fanno anche i caroselli dopo partita. Paolo e Alessandro, Giuseppe e Cristian per i mondiali organizzano autonomamente il loro dinner tv. Tutti e quattro messi insieme non raggiungono gli anni di Totti, che a sua volta ha la faccia di un personaggio cartoon.
Sono a tavola mezz’ora prima dell’inizio della partita. Per fare scena cucino con la bandiera dell’Italia legata in vita. Il grembiule tricolore mi viene sfilato dal più piccolo che a sua volta la utilizza come mantello alla Zorro. Niente tromba, costa troppo, e soprattutto fa troppo rumore. So già che la userebbero lontano dalla partita. E allora appena vogliono urlare ed esultare corrono sul balcone e gridano tutti insieme: peeee peee peee. Poi rientrano e sono di nuovo con un occhio alle patatine e un altro alla partita.
L’inno è il momento più emozionante. Anche se Giuseppe mentre canta corregge quello che per lui è un grave refuso storico e geografico: ma come l’Italia schiava di Roma? E’ la Roma la schiava d’Italia. L’obiezione è giusta, la risposta è difficile. Nel frattempo è arrivato il fischio d’inizio. Dapprima commentano, urlano, suggeriscono le azioni ai giocatori. Poi, novanta minuti sono troppi, prendono le costruzioni e fanno la bandiera dell’Italia, il campo di calcio, l’astronave, la prigione. L’esultanza del goal arriva in stereofonia, dalla tv e dai balconi del condominio mentre stanno ancora disponendo i mattoncini della Lego. Rincominciano a vedere la partita. Ma adesso è la fine che vogliono, i caroselli, la gioia di mescolarsi grandi e piccolini. Tutti in corsa verso la strada, le bandiere sull’asta (che non si trova.. mamma hai visto il bastone!!!!), guadagnando l’uscita tra i motorini bardati di nastri tricolore, le auto con i manifesti listati a lutto per la signora Germania (“con la presente si anticipano i ringraziamenti”, che significa, mamma?, guarda! C’è anche una tomba sul cofano) e le scritte fiorite all’improvviso - Buffon Santo Subito – e i cori da stadio che esplodono agli angoli della città: chi non salta è tedesco eh eh chi non salta … Si incontrano con altri bambini del quartiere e si mettono a giocare in uno spiazzo. Fanno gli stessi giochi del pomeriggio. Quello che cambia è la musica che gira intorno. E loro al centro, felici. Anche senza capire. Senza cogliere la lieve apprensione dei genitori (speriamo non succeda niente..). Finalmente, definitivamente stanchi. Paolo si addormenta tra le braccia del papà. Mentre accanto a lui continuano a dare fiato alle trombe, quelle vere. Tutti a nanna. I grandi non dormiranno. I clacson continuano a dar di matto sino alle due. Uno di loro al mattino racconta di aver sognato i due goal. E stasera?


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