Scritto sui banchi

27 novembre 2006

la scuola e i cattivi maestri

Mi chiedo che idea si sono fatti della scuola i tanti che della scuola sanno poco, che non sono direttamente coinvolti perché non hanno figli, perché non ci lavorano, perché hanno archiviato quella esperienza nell’alveo dei ricordi. Nonna mi telefona apprensiva, alla fine di ogni telegiornale: “Stai bene?” Ma tu sei cautelata? Hai visto che cosa fanno i ragazzi? Non era meglio lavorare alle elementari? Quando vieni?”. Devo riconoscere che non sempre nonna mi lascia il tempo di rispondere alle sue domande. Provo a vedere i telegiornali come li vede lei, con la bruttura e la violenza che si infila da tutte le parti. Anche nelle scuole. Questo forse non se lo aspettava, dall’alto dei suoi ottantotto anni, con l’orgoglio mai spento per la sua seconda elementare e con quaranta anni almeno di figlie e nipoti insegnanti. Si è preoccupata della mia incolumità. Non ha proprio pensato che anche gli insegnanti, le insegnanti anzi, in questi giorni bui stanno dando una pessima immagine di sé. Dall’insegnante che è andata via lasciando che la classe si sbizzarrisse con pugni calci e telefonini alla maestra che guadagna il silenzio mettendo lo scotch sulla bocca dei piccolini. Senza dimenticare la supplente e i cinque alunni trovati nudi… Al di là di questi casi: dove erano gli altri insegnanti quando queste cose accadevano? Cosa facevano? E i capi di istituto cosa rispondevano ai genitori che sicuramente saranno andati a ribellarsi ben prima della esplosione dei casi? Perché è così che accade. I professori che lasciano l’aula - sono sempre meno, per fortuna - non lo fanno una volta. Chi lascia la classe incustodita quasi sempre è un habitue. E non cerca neanche alibi o sotterfugi. Queste cose si fanno sotto gli occhi degli altri insegnanti. Che non fanno niente – non possono fare niente. (O quasi). Ogni volta che un alunno viene e vuole protestare contro un docente, si confezionano blande rassicurazioni, si raffazzonano giustificazioni. Mai si prendono seri provvedimenti. Tutti quanti abbiamo una piccola collezione di casi del genere: la maestra che dice ai bambini “mi state uccidendo la salute” o “mi fate schiattare in corpo”, il professore che fa lezioni private ai suoi alunni, il bidello che raccomanda la figlia della sorella, la professoressa che urla per un non nulla. Storie di ordinaria prepotenza. Nel mio liceo, un’insegnante di matematica era nota per essere una pessima docente. Tecnicamente da pelle d’oca. Sbagliava le definizioni dei teoremi, non sapeva spiegare le funzioni di analisi, si confondeva tra il seno e il coseno in trigonometria. Scrivevamo le sue corbellerie – niente telefonino all’epoca – le consegnavamo ai genitori, loro le portavano al preside e lui era mortificato quanto noi. Non poteva fare niente. Allargava le braccia, spianava un sorriso sul viso che ancora portava i segni della barba appena fatta e ci spiegava che dovevamo essere pazienti. Fine. Ancora oggi è lì, insegna a mio cugino e la nostra sola speranza è che vada in pensione prima che mio nipote frequenti la stessa scuola. Oggi ha 11 anni. L’altro giorno in piazzetta alcuni ragazzi si lamentavano di un’insegnante. Una infilata di accuse, tutte serie, tutte fondate. Di cui tutti, a scuola, sono a conoscenza. Non si può fare niente? chiedevano ad un adulto che era con loro. Lui allargava le braccia, spianava un sorriso etc. No, si può essere allontanati da scuola solo per casi gravi, gravissimi. “E se a facimm diventà pedofila?” dice un alunno. Si guardano come se avessero avuto una illuminazione. “ A te, cu chella faccia da criminale…” La discussione finisce così, tra sfottò e rassegnazione. Ma io stasera a nonna che le dico se mi chiede qualcosa?


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