Scritto sui banchi

09 novembre 2006

parole a maggese e cancelli aperti

Ogni tanto ci viene chiesto un minuto di silenzio. Per lo più per commemorare. Riflessione e lieve euforia per il tempo che vola via. I minuti di silenzio a scuola sono in genere così. Avviluppati tra le raccomandazioni sulla utilità di ricordare, di non dimenticare, etc. Qualche volta i minuti di silenzio dovrebbero essere scelti dagli alunni, qualche altra dagli insegnanti. Perché anche le parole hanno diritto al periodo di maggese.
Ci pensavo stamattina, mentre il mio alunno rendicontava della rotazione triennale nel Medioevo. Ecco. Per far crescere parole forti, significative e utili, bisogna fare un po’ di pausa.
Sarà che non so che dire da un paio di sere. Da quando ho visto in televisione il padre del ragazzo ucciso a Pozzuoli. Commentava la sentenza dei giudici sull’assassino del figlio. Guardavo l’interno della casa, il salotto ocra, le foto, le foto delle feste, quelle lucide con i flash sparati sulle tempie. Le foto migliori, che hanno dato ai giornali. Identiche a quelle che mi fanno vedere qualche volta le mie alunne. I matrimoni delle cugine, i vestiti nuovi, i sorrisi giusti. Per lo scatto del fotografo. Ma anche i sorrisi giusti per il mondo. Perché loro sanno di avere la forza e il diritto di doverlo affrontare così il mondo. Da sfrontate. Intrepide. Coraggiose. Le paure e le fragilità adesso, qui, in questo momento non ci sono. Guardavo le foto di quel ragazzo e mi chiedevo: che gli dico? Che cosa gli insegno? Leggevo le cronache degli amici dei ragazzi uccisi. “Giustizia giusta” hanno scritto sugli striscioni che hanno portato allo stadio. A scuola intanto prepariamo la documentazione per l’educazione alla legalità. Quale legalità? C’è spazio nella nostra educazione alla legalità per la loro giustizia giusta? A scuola sino alle otto di sera, dicono in questi giorni. Per proteggere i ragazzi dalla camorra. Da se stessi, a volte. Le menti più illuminate lo sostengono da anni. Quindici anni fa a Bari la delinquenza minorile faceva paura come e più di adesso. In una intervista Franco Occhiogrosso, giudice del Tribunale dei minori di mi diceva: bisogna togliere i cancelli dalle scuole, aprirle, restituirle ai ragazzi. Sono loro, le scuole, in fondo.
Togliamo i cancelli, allora. Ma non basta un semplice gesto. L’altra mattina sono arrivata a scuola all’una meno cinque. Un po’ di ritardo per la sesta ora. Decine di ragazze nei pressi del bagno: stringevano i pacchettini di Merit e Malboro da dieci tra le mani giunte, si passavano l’accendino al di qua e al di là della porta, qualcuna usciva con la sigaretta accesa nel corridoio. Il bar aveva quasi finito le scorte e c’era la folla dell’ora di punta. Un paio di ragazzi si strattonavano per gioco. Un alunno assai simpatico in cortile faceva il giro – con il mio permesso – sulla mia bicicletta. Non è una scuola a rischio, non è una scuola difficile la mia. E’ una scuola. Va bene, pensavo, teniamoli fino alle otto. A fare cosa? Dobbiamo anche capire bene come impegnare questo tempo. Che è prezioso. E che non può, non deve essere sempre in conflitto con quello che accade fuori. Se devo fare educazione alla legalità ho bisogno di tornare a casa, alle otto di sera, e di sentire una sentenza meno discutibile. Si è spesso soli a scuola. sarebbe bello cambiare anche questo. Sin dalle otto del mattino.

2 Comments:

  • sono di lauro,il simpaticone.sto leggendo varie cose davvero molto interessanti, credo che siamo fortunati noi del pavese ad avere una prof come Lei

    Da Anonymous Anonimo, alle 09 novembre, 2006 16:44  

  • sempre di lauro,ah dimenticavo quello scritto rispecchia tutta la verità. la vivo!

    Da Anonymous Anonimo, alle 09 novembre, 2006 16:45  

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