Scritto sui banchi

19 settembre 2006

le parole di un vecchio maestro, per l'anno nuovo

Due giorni fa a telefono con un anziano maestro. Dopo ho riguardato i lavori che aveva realizzato con i suoi alunni: libri di poesie, giochi di parole, raccolte di calembour. Quasi trenta anni fa. Un modo di insegnare picaresco, avventuroso, in una stagione anche allora ricca di cambiamenti. Che non mettevano, forse, tanta paura.
Era solto partire dagli errori dei bambini. Termini sbagliati, inflessioni dialettali, verbi mal coniugati: li utilizzava come eco di lunghe riflessioni linguistiche. Mai come condanne sociali o personali. I maestri delle elementari lo sanno che non è cosa da poco, essere bambini.
Lui raccoglieva un po’ di errori e iniziava a combinarli, a metterli insieme, a sentire i suoni. Cercava parole per ridere, per capire, per giocare: parole finalmente libere dal peso dell’abitudine, svincolate dalle necessità logiche. Così nascevano le poesie. Piccoli testi per approfondire e dilatare la vita emozionale degli alunni. Era questo il metodo dell’anziano maestro. “Gli insegnanti devono essere sempre aperti al nuovo”, mi ha detto, “è questa la parte più importante del loro lavoro. Proprio perché lavorano con i ragazzi. E i ragazzi sono naturalmente portatori di un futuro”.Un intero anno scolastico per guardarlo insieme, il futuro. Naturalmente…


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