Scritto sui banchi

01 novembre 2006

lucignolo e alessandra sardu, racconto di un incontro

Apparentemente crediamo di sapere tutto di loro. Apparentemente sembrano correre lungo un rettifilo di gioie e dolori, amiche e fidanzati, jeans alla moda e lacrime agli occhi. Apparentemente sembra facile e difficile essere adolescenti. Sicuramente non si può fare a meno. Di sognare i sogni. Di desiderare l’amore, l’amicizia, la vita. Alessandra Sardu racconta così l’adolescenza in Apparentemente Lucignolo, edizioni peQuod. Una storia di formazione che della favola ha la leggerezza della scrittura e della struttura. “Sono sempre stata attratta da Lucignolo”, ha detto ai lettori che l’hanno incontrata venerdì sera alla Libreria Guida di Capua. E se Lucignolo si chiama Matteo, occhi azzurri - chitarra elettrica, Edwige, proprio come Pinocchio è vissuta per un po’ nella bugia. “Del bellissimo libro di Collodi mi piaceva proprio la scena in cui Pinocchio sul ciglio della strada vede il carro dei bambini che stanno per andare nel Paese dei Balocchi e pensa: devo andare, devo andare”. Dal primo rigo invece Ewdige corre. E’ in ritardo, sin dal primo rigo. “Ero in ritardo. Con me stessa e con i miei sogni”. Una rapida sequenza di capitoli in sui si passa da un’aula di conservatorio alle strade di periferia, dalla scuola autogestita alle passeggiate nel parco, alle pause nei pressi di un albero con un punto interrogativo. “La maturità non viene senza esperienza”, dice ancora Alessandra. “E ci vuole sempre tanto coraggio per fare le cose”. Fuori della scrittura Alessandra ha il coraggio della giovinezza, di cui rivendica soprattutto la spontaneità. Ha scritto il romanzo quando aveva 17 anni e pur pubblicandolo qualche anno dopo non ha cambiato un solo rigo. La giovinezza è il vento leggero delle certezze e delle paure, delle frasi zeppe di punti esclamativi e interrogativi. Ma la giovinezza è anche il ricordo dei cartoni animati e la scoperta dei poeti americani, lo studio del latino e la partecipazione ai cortei. “Bisogna farle le esperienze, bisogna andare, perché tante cose non svelate fanno un adulto non vissuto”, afferma con convinzione. “Matteo dice a Evy di non preoccuparsi, anche se ha sbagliato. Secondo me questa è la cosa più bella che una persona possa dire all’altra”.
Nel libro, una girandola di personaggi, di ragazzine svagate che cambiano amori e umori, smalto sulle unghie e occhiali alla moda. Ragazzi che fumano e tirano cocaina mentre altri nello stesso momento discutono di pace e di guerra. Adulti distratti, adulti normativi, che liquidano le ribellioni con note e sospensioni. Come se potesse bastare un registro a rendere più regolare la vita dei ragazzi. Loro invece, Edwige e i suoi amici, con le parole ci fanno lunghi nastri di sogni e di magie, di viaggi e di promesse. E se qualche volta la “Realtà uccide il Sogno”, se qualche volta la morte di un amico in volo dal quinto piano ti toglie persino il respiro, c’è solo un mondo dove puoi rifugiarti. Dove puoi correre ed avere la certezza di un abbraccio senza fine: la musica. Quella che si sente nella testa, quella che si suona negli scantinati, il rock e il jazz, i brani degli altri e quelli “solo nostri”. La musica che parla d’amore in un modo speciale. Perché l’amore stesso è speciale. Entra ed esce dalla vita. Cambia e trasforma. Porta lontano solo quando è vicino. “Non mi sembra un’utopia avere diritto a un mondo migliore…” si legge in quarta di copertina. Un mondo migliore non dovrebbe essere un’utopia. E soprattutto non conta l’età. Apparentemente.


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