Scritto sui banchi

08 febbraio 2007

il secchio e la finestra


Prima i grappoli d’uva, dopo le castagne che sbucano dal riccio, dopo ancora il cielo pieno di stelle di Natale. Adesso le mascherine. Le finestre delle scuole sono così. Calendari trasparenti che segnano il passare del tempo con carta crespata, veline, batuffoli di ovatta. Tra tutte le finestre che occhieggiano al nostro passaggio, quelle dei panni stesi e dei fiori di ciclamini rossi, delle tendine di pizzo e degli adesivi attaccati sui vetri, le finestre delle scuole guardano diritto negli occhi i bambini. Spesso sono le maestre a prepararle. Interi pomeriggi trascorsi nel magazzino della scuola, alla ricerca del cartoncino ondulato, dei cordoncini e della rafia. Tagliano, incollano, mettono chiodi e fili invisibili di nylon. A volte i bambini entrano e nemmeno se ne accorgono. Poi per caso alzano lo sguardo. Come hanno fatto a non vederle? Allora le commentano tra loro, si contagiano di meraviglia, hanno voglia di andare vicino, prendere qualcosa. Ma tanto lo sanno “che non si fa”.
Il metronomo dei bambini, le finestre dell'aula. Il tempo che passa, che si trasforma, che si inventa, che si ricorda, che si aspetta. Finestre grandi occhi: per guardare fuori, per guardare dentro.
“Conoscete la storia di Arlecchino?”. I bambini sono seduti in cerchio, sulle sedioline. “Nooo”, gridano in coro. “Ci racconti quella di Dragon Ball?". "Ascoltate quella di Arlecchino che è più bella”.
E così, sulla strada del ritorno raccontano di quella mamma povera che aveva passato tutta la notte a cucire il vestito del suo bambino, cucendo insieme i pezzi di stoffa colorati che le erano avanzati dai vestiti che aveva preparato per altri. Non la ricordavo più questa storia. Però l’hanno raccontata anche a me da bambina.
Il metronomo degli adulti, le storie. Compagne di viaggio che si lasciano per strada e all’improvviso si ritrovano. Favole mai dimenticate. Confusione di trame e oblio dei finali. Fiabe che dicono quanto siamo cresciuti, che hanno lasciato il posto ad altre storie che adesso ci piace ascoltare.
“E’ venuta la signora con la scopa verde in mano. E poi il secchio al centro si è riempito e noi ci siamo piegati per vedere dentro che c’era. E allora la maestra ci ha detto di uscire e di andare in un’altra aula”. Seguivo il racconto a tratti. Le storie misurano anche la distrazione e la capacità di ascolto. “E come si chiama questa storia della scopa verde e del secchio pieno di acqua?”. “Mamma, non hai capito! non è una toria. È vero. Pioveva nella notra classe!” “Pioveva in classe?”. “Siiiii… e cadeva il gesso sulla testa”.
Ecco, a scuola accade proprio così. L’attenzione dei particolari, i disegni alle finestre, le sedie in cerchio per raccontare una favola e i muri che non tengono, il soffitto che fa acqua. Non sempre. Quest’anno poco perché ha piovuto poco. Per riparare bisogna chiamare il comune, aspettare che mandino qualcuno, valutare i danni e poi riparare. Nel frattempo le mascherine si scollano, il carnevale arriva e va via. Qualche volta, appoggiati ad una finestra, capita di pensare ad una scuola migliore. Per i nostri figli. Per noi. Per le altre finestre della città.


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