Scritto sui banchi

18 dicembre 2006

fiocchi rosa, fiocchi azzurri e la catastrofe pedagogica

Giampaolo mi ha girato una mail intitolata alla Catastrofe pedagogica, a firma di una sigla sindacale. Si denuncia una scuola allo sbando, prossima oramai alla fine. Si grida contro l’emergenza scuola che pone a propria norma valore il successo e l’indulto, si stigmatizza la pedagogia dell’inesistente, e si denuncia la scuola quale luogo di ignoranza e inciviltà. Leggo e rileggo la mail, penso alla quantità di cose che girano per la rete, alla possibilità di condividere sentimenti (e sgomenti) comuni pur vivendo realtà distanti e difficili. In fondo Giampaolo mi ha sempre parlato bene della scuola dove insegna, mentre qui mi sembra aver radicalizzato il suo nichilismo di base. Ci sono tante cose condivisibili in questa mail, ma c’è qualcosa che mi convince. Rileggo ancora. Oì cann! Come esclama la mia splendida alunna Fortuna quando trova il verso esatto della poesia da analizzare. Oì cann! Eccolo qua. Era una specie di dolore che non riuscivo a localizzare. “L’indebolimento del codice normativo, dovuto anche alla quasi totale assenza nella scuola della figura maschile (Paolo Ferlinga)”.
Ci siamo. Oramai sono anni che molti studiosi lo affermano. L’eccessiva presenza delle donne nella scuola è un danno (irreversibile?) per la formazione degli studenti. Troppe, tantissime maestre alle scuole elementari. Troppe, tante professoresse alle medie e superiori. Insegnano senza la maschile autorevolezza, lasciano che a prevalere sia il codice materno della comunicazione, tendono a rassicurare, a perdonare e assai poco a responsabilizzare. Non tutte, certo. Ma la maggior parte sono così. Eccessivamente buone noi, le prof, dunque scostumati e poco adatti alla vita loro, gli alunni. La disciplina quando la imparano? A scuola la prof, a casa la mamma, il pomeriggio baby sitter e catechiste, nonne. Quand’è che possono stare con gli uomini? Un po’ a scuola, un po’ in palestra, un po’ a casa. Se tutto va bene! I papà tornano tardi dal lavoro, spesso sono fuori per due o tre giorni, spesso per mesi interi. Qualche tempo fa qualcuno ha parlato di quote azzurre da introdurre nella scuola, un piccolo recinto in graduatoria in cui confinare gli insegnanti, uomini, per assicurare agli allievi quella varietà di stili educativi che fanno la ricchezza e la complessità della formazione. Quanti fiocchetti o colletti azzurri sono necessari per ripristinare una scuola capace di ribaltare la pedagogia dell’inesistente in pedagogia dell’esistente? Prima di fare l’insegnante ho conseguito un dottorato in pedagogia. Un po’ di convegni e di riunioni per addetti ai lavori le ho frequentate. Ebbene: le cattedre di pedagogia all’università sono in gran parte affidate a uomini (come la maggior parte delle cattedre in tutte le facoltà), nei convegni per una donna che parla ci sono almeno dieci che pontificano. Le ricercatrici, le assistenti sono quasi tutte donne, o comunque restano tali per molto più tempo rispetto ai loro colleghi. A nessuno, ca van sa dire, è venuto in mente di introdurre le quote rosa per le cattedre universitarie. Gli uomini devono studiare, presenziare i convegni, scrivere libri, fare osservazioni intelligenti, denunciare l’eccessiva presenza femminile. Ricerche, studi, sperimentazioni, test scientifici per affermare che chi dice donna dice danno. Anche a scuola.
(Giampaolo, il calcolo delle quote lo fai tu…)


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