senti chi parla?
L’altro giorno un collega mi ha detto che gli piaceva proprio la mia voglia di volare. Io? sono così tenacemente attaccata alla quotidianità... Aveva letto un saggio che ho dedicato alle complicate, complicatissime, relazioni tra docenti. Quel testo poi è confluito in un libro che raccoglie i diversi interventi di un corso di formazione – Psicologia e Scuola – che si è svolto due anni fa a Caserta, sotto l’ottima direzione di Giorgio Agnisola (per conoscerlo www.giorgioagnisola.com).
Il volume si chiama “Senti chi parla?” e raccoglie testimonianze e interventi dedicati alla difficile arte di ascoltare.
Il mio incomincia con un’immagine rubata ad un romanzo letto tanti anni fa: un aeroplano che raccoglie parole. In questo caso, l’aeroplano che volteggia intorno alla scuola e cerca di capire quello che si dice.
A questa immagine fa riferimento anche Giancarlo Palumbo,insegnante di scuola elementare a Sarno, che accompagna la lettura con una mail di commento (persino più interessante del mio testo). Per questa ragione la giro.
“Senti chi parla può essere considerato una sorta di ossimoro? Siamo
sicuri che la scuola riesca ancora a parlare? Quali sono le lingue e i
linguaggi della scuola? Siamo proprio sicuri Marilena che sopra di noi
volino aeroplani? Spesso vedo lunghi treni-merci che trasportano
ecoballe coi rifiuti delle nostre giornate, con le sale dei professori
che sembrano non-luoghi, con le aule e i gessetti che aggiungono a
polvere ad altra polvere, col rumore sordo dei collegi, dei siti web
scolastici che non visita nessuno, dell'antintellettualismo come
glamour e la troppa psicologia che annulla le categorie del giudizio.
Credo proprio che la scuola sia sprofondata nell'ovvio e che riesca a
stento a produrre sapere. Una volta si selezionava, oggi si livella,
una volta si provava a valutare, oggi si parla di conferma;una volta
c'era l'educazione oggi invece si gioca sullo spontaneismo e sul
giovanilismo. Allora c'erano i ruoli, oggi parliamo di persone che si
incontrano, una volta la scuola era separata, oggi le frontiere e i
confini con l'esterno nessuno sa quali e quanti sono. E allora? Manca
il senso politico della scuola, questa a mio avviso è quella soluzione
che ci permetterebbe di pensarla e di ridarle un senso oltre che una
vocazione culturale.
La tua è un'analisi a tratti goffmaniana,
impietosa e indulgente insieme. Del resto uno non può ogni volta
mettersi e togliersi gli stessi occhiali. Fotografa bene lo spaccato e
invoca universalmente il riscatto con un supplemento di poesia. Bello
ma triste, mistero direbbe Gozzano bello ma senza fine, senza mettere
in conto l'idea alquanto imbarazzante di stare a tavola con tanta
gente.....”
del mio aeroplano vi dirò un’altra volta. Per chi ha voglia di leggere il saggio, posso inviare la versione elettronica. Basta richiederlo qui o a lucentem@tin.it
Il volume si chiama “Senti chi parla?” e raccoglie testimonianze e interventi dedicati alla difficile arte di ascoltare.
Il mio incomincia con un’immagine rubata ad un romanzo letto tanti anni fa: un aeroplano che raccoglie parole. In questo caso, l’aeroplano che volteggia intorno alla scuola e cerca di capire quello che si dice.
A questa immagine fa riferimento anche Giancarlo Palumbo,insegnante di scuola elementare a Sarno, che accompagna la lettura con una mail di commento (persino più interessante del mio testo). Per questa ragione la giro.
“Senti chi parla può essere considerato una sorta di ossimoro? Siamo
sicuri che la scuola riesca ancora a parlare? Quali sono le lingue e i
linguaggi della scuola? Siamo proprio sicuri Marilena che sopra di noi
volino aeroplani? Spesso vedo lunghi treni-merci che trasportano
ecoballe coi rifiuti delle nostre giornate, con le sale dei professori
che sembrano non-luoghi, con le aule e i gessetti che aggiungono a
polvere ad altra polvere, col rumore sordo dei collegi, dei siti web
scolastici che non visita nessuno, dell'antintellettualismo come
glamour e la troppa psicologia che annulla le categorie del giudizio.
Credo proprio che la scuola sia sprofondata nell'ovvio e che riesca a
stento a produrre sapere. Una volta si selezionava, oggi si livella,
una volta si provava a valutare, oggi si parla di conferma;una volta
c'era l'educazione oggi invece si gioca sullo spontaneismo e sul
giovanilismo. Allora c'erano i ruoli, oggi parliamo di persone che si
incontrano, una volta la scuola era separata, oggi le frontiere e i
confini con l'esterno nessuno sa quali e quanti sono. E allora? Manca
il senso politico della scuola, questa a mio avviso è quella soluzione
che ci permetterebbe di pensarla e di ridarle un senso oltre che una
vocazione culturale.
La tua è un'analisi a tratti goffmaniana,
impietosa e indulgente insieme. Del resto uno non può ogni volta
mettersi e togliersi gli stessi occhiali. Fotografa bene lo spaccato e
invoca universalmente il riscatto con un supplemento di poesia. Bello
ma triste, mistero direbbe Gozzano bello ma senza fine, senza mettere
in conto l'idea alquanto imbarazzante di stare a tavola con tanta
gente.....”
del mio aeroplano vi dirò un’altra volta. Per chi ha voglia di leggere il saggio, posso inviare la versione elettronica. Basta richiederlo qui o a lucentem@tin.it
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