Scritto sui banchi

19 gennaio 2007

braccio di ferro and co.

L’altro giorno mio figlio mi chiede: “Ma quando andrò in quarta elementare diventerò adulto?” “In che senso, a mamma?” “Nel senso che smetterai di trattarmi come un bambino?” “Perché dici questo?” “Perché voglio fare di testa mia”. “Sarebbe a dire?” (dentro di me sento distintamente la voce di mia zia che mi dice: sei terribile con le tue domande, e la peggiore di tutte è quando chiedi: esempio?). “Fammi qualche esempio”, (scusa zia, mi è scappata, però non ci ho messo il punto interrogativo). “Ad esempio non voglio troppe regole”. “Le regole? Le regole sono importantissime, le hanno anche gli adulti…” E parto con un’orazione di quelle, appunto, a regola d’arte, arte classica, intendo: pars destrunes, pars costruens etc. Però non mi sono accorta del bambino che si è allontanato e mi ha lasciato da sola prima a parlare e poi a pensare.
Il giorno dopo a scuola interrogo un ragazzo di quinta. Un po’ si arrangia, poi non risponde ad una domanda. “Ho bisogno di parlare con tua madre”, dico, specificando il mio orario di ricevimento. “Non vedo la necessità di parlare con mamma”, mi dice serio, senza alcuna arroganza. “Proprio l’altro giorno ho compiuto 18 anni, mi dia modo di mostrare la mia maturità. So benissimo quando e come studiare. Non credo sia inutile l’intervento di mia madre”.
Il fatto è che io ci tengo molto a lui, è quel tipo di alunno che può fare tanto, parla bene, è intelligente, è acuto nelle osservazioni. Gli manca solo lo studio. Gli basterebbe pochissimo per andare benissimo, invece stando attento in classe e riesce ad andare benino. Giustamente, a che cosa può scrivere l’intervento di sua madre? Vuol fare da solo. E poi cosa avrebbe potuto fare la madre dopo il mio colloquio? Rimproverarlo? Mettersi accanto a lui a ripetere Verga? Legarlo alla sedia davanti ai libri, come il servo ad Alfieri? (bè, però questa ultima alternativa non è proprio da escludere). “Va bene”, dico con tono fintamente comprensivo - ha ragione lui e basta – “non c’è bisogno di far venire tua madre”.
Mio figlio ad otto anni, il mio alunno a 18 mi hanno chiesto la stessa cosa. Mi aspetto di incontrare qualcuno di 28 da qui a poco. Invece mi imbatto in un ultra settantenne che più o meno dice la stessa cosa. Ma questo qualcuno è anche il mio mito di infanzia, un personaggio che io adoro e adoravo proprio quando diceva “Io sono quello che sono e questo è tutto quello che sono”.
Sempre in gamba, Braccio di Ferro. Caparbiamente deciso ad affermare se stesso. Mi piaceva per questo. E anche per certe sue uscite, tipo tirare un pugno ai coccodrilli e far venir fuori una bancarella con tanto di borsette di pelle (di coccodrillo!) da regalare ad Olivia. E’ nato il 17 gennaio 1929, Braccio di Ferro. Dalla matita di Segar, prima i fumetti e poi la televisione. Ne ha fatta di strada in compagnia dei suoi spinaci. E noi, i suoi amici, con lui. “Io sono quello che sono e questo è tutto quello che sono”.
Come è bello credere nei principi! Sapere che essere se stessi è la cosa migliore che possa capitare ad una persona. Come è difficile poi riconoscere questa stessa affermazione quando sono gli altri a farla. Perché dobbiamo essere sempre coerenti tra quello che pensiamo e quello che facciamo?
Capperi sotto sale! Questa volta è Braccio di Ferro a darmi lezioni di coerenza. Ok, messaggio ricevuto: mio figlio farà ogni volta che potrà di testa sua e il mio alunno verrà all’interrogazione studiando come ritiene meglio per lui.

1 Comments:

  • salve prof, il testo di oggi è molto bello e inoltre, forse, ho capito a chi vi riferite. dico solo che forse il fatto che non ha fatto venire la mamma è perchè ha paura di essere castigato visto che la mamma è molto severa, secondo voi fa bene??? ma.....
    beh a volte però se lo merita proprio, visto i suoi tanti voti negativi. (sempre se il vostro brano è riferito al ragazzo della 5 b). vi saluto con un grosso bacio!

    Da Anonymous Anonimo, alle 23 gennaio, 2007 18:55  

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