Scritto sui banchi

16 gennaio 2007

l'erba del vicino

Una coincidenza, una intersezione di eventi. Il cui senso si può capire (se si capisce) solo a posteriori. Decido di leggere un libro che ho in casa da tempo, più che altro perché ho voglia di restituirlo. Magic People di Giuseppe Montesano. Protagonista un inquietante condominio napoletano in cui si sgomita, si urla, si litiga. I fatti del mondo si scompongono in un prisma di sguardi ora miopi ora lungimiranti e l’unico che non vuole, non riesce a capire niente di quello che accade intorno è lo scettico io narrante del romanzo, il “dottore”, come lo chiamano qui, che di mestiere fa lo scrittore. Mi sembra di essere nel pieno dell’abusivismo delle esistenze. Tutti, proprio tutti, vogliono qualcosa di più di quello che hanno. Soldi, bellezza, fama, fame, sesso, vacanze, feste tradizionali e riti esclusivi, donne e amanti. Leggo il libro con accanto un quaderno e una matita, così magari posso trascrivere subito qualche frase che mi piace. Invece più mi addentro nelle pagine più provo angoscia. La matita scivola a terra e dimentico di raccoglierla. Leggo di donne grasse, di fidanzate isteriche che pretendono brillanti, di alunni che, ca va sa dir, non hanno voglia di studiare e di ridicole professoresse che sconfessano le raccomandazioni, di uomini affetti da crisi depressive per vacanze esotiche andate a male e commercialisti contenti di saper lucrare il fisco. Dove ha trovato un catalogo così orribile dell’umanità? Orripilante come le vongole che ogni tanto appaiono e scompaiono nel libro, disgustosa sino a rendersi ridicola, sino a sfiorare la vergogna.
Mi viene in mente un passaggio di un’intervista in cui Montesano raccontava che gli capitava spesso di salire sul pulmann e di seguire i passeggeri, e talvolta di pedinarli. Qualcuna di queste poi sarebbe finita nei suoi romanzi. Ho invidiato la professione di scrittore. Soprattutto il tempo libero che consente a chi ha voglia di guardare al di là della propria vita. Ho provato a immedesimami: una scrittrice sul c40. Ma dovrei andare almeno a Napoli. Qui passerei gran parte del tempo ad aspettare l’autobus su cui salire per pedinare qualcuno. Così ho preferito fare un altro mestiere.
E mentre la gente di Magic People continua a litigare, l’autore sembra suggerirci una ragione per cui tutto questo accade, una causa – una tra le altre – plausibile e riconoscibile: la televisione. Seducente, affabile e pagabile in comode rate, la televisione, oramai al plasma, plasma desideri, innesca sogni, disegna miraggi, infiamma passioni, spiega delitti. No, spiega delitti non c’è nel libro di Montesano, ma ad un certo punto ho spesso di leggere e sono passata a vedere la tv che qualcun altro aveva acceso in casa. Non accadeva da almeno quattro mesi. Seguo pochissimo la televisione, e mai di sera. E proprio oggi c’è un condominio in cui hanno litigato e Vespa sta simulando il modo in cui la vicina ha utilizzato i coltelli, “dall’alto in basso”, spiega scandendo le sillabe, facendo sentire il respiro. Il suo, quello dell’assassino, quello del bambino, il mio. Non so bene, c’è tutto questo ansimare, stasera in tv. Forse per questo la sto seguendo, mi ha catturato. Mio malgrado. Mi chiedo come faccia una persona a stare davanti al video dopo che gli hanno ammazzato moglie figlia e nipote invece di stare a casa a piangere, a pensare. Mi pongo le domande che si sono posti tutti. Mi aggiro tra i condomini della finzione letteraria e quelli delle inquadrature televisive. Mi chiedo se Montesano avesse avuto un pulman per spingersi sino a Erba cosa avrebbe scritto. Forse è questo il mestiere di scrittore, entrare nei condomini, raccogliere indizi di vita quotidiana, ricomporli in un disegno, farci capire qualcosa in più. Difficile mestiere quello dello scrittore. Come quello del lettore. Come quello dello spettatore.


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