Scritto sui banchi

21 marzo 2007

don luigi ciotti e la sua idea di libertà


Mi sono mescolata tra loro, seduta a terra, assiepata contro i muri della sala gremita, ad ascoltare insieme, a tanti studenti della Provincia, Don Luigi Ciotti, sabato mattina qui a Caserta. Ho preso dieci pagine di appunti. Anche don Ciotti si è segnato le tante domande che gli hanno fatto: il bullismo, la città, la paura. Si occupa di mafia da anni, ma non ha mai smesso di guardare con apprensione al mondo giovanile. Racconta le storie che raccoglie da anni e ce ne consegna lo sgomento. Cosa pensare di quella ragazza morta a quindici anni in un incidente stradale che aveva pattuito con le sue amiche di essere sepolta insieme al suo telefonino. “Per noi adulti è incomprensibile. Per voi il telefonino è uno strumento di identità”.

“Dovete essere attenti, a queste cose. Molti genitori si comportano come se i figli dovessero educarsi da soli, altri invece ci chiedono di disintossicare i loro figli dal consumismo. Troppo, abbiamo bisogno di troppe cose, siamo dipendenti da tutto”.

E poi c’è la scuola. “Ragazzi!!! posso farvi un augurio che faccio prima di tutto a me stesso. Studiate tanto ma al contempo restate un poco analfabeti. Man mano che fate le cose siate analfabeti. Perché non fa bene pensare di sapere tutto, c’è il rischio di credere troppo in se stessi e di smettere di capire quello che ci circonda”.

“O c’è il rischio di entrare in una realtà virtuale e di non uscirne più. Come quel ragazzino, il figlio di un mio amico, che quando il papà l’ha portato allo stadio a vedere la partita dopo l’azione di Treseghè ha chiesto: ma quando ci fanno rivedere l’azione?” Come se tutto quello che accade si capisce solo vedendolo in televisione. Invece, continua don Ciotti, la mafia non è affatto virtuale. E’ reale. E ciascuno di noi deve prendere coscienza. “Dobbiamo essere capaci di guardare non solo vedere, di ascoltare e non solo sentire, di capire e non solo sapere”.

Anche io ho voglia di sapere cosa hanno capito stamattina i miei studenti. Quando ad esempio gli ha riferito la frase di un giornalista: “A che serve essere vivi se non si ha il coraggio di lottare?”.

Prima di Don Ciotti, alcune studentesse di Aversa hanno messo in scena alcune pagine del diario di Annalisa Durante. Le sue parole fragili, i sogni e il vestito bianco da sposa. Una vestizione lenta e intensa. Sino a sforare la commozione. Le guance della mia alunna arrossiscono e gli occhi le si riempiono di lacrime. A don Ciotti fanno paura soprattutto i vivi che sono morti dentro. Quelli che si rassegnano. che si rifugiano nell’immobilismo e nel tanto qui non cambierà niente. Molti di questi ragazzi stamattina si sono sentiti vivi. Non tutti, ma tanti. “Io sono cosciente dei mie limiti, dice don Ciotti. Ma un’idea chiara ce l’ho: lavorare insieme”. Per essere liberi. Dalla mafia, dal lavoro nero, dalla droga. Alla fine siamo usciti nel vento della mattinata di marzo, con le emozioni a fior di pelle e i pensieri scompigliati. Con l’eco di tante parole, alla ricerca di quella libertà di cui abbiamo sentito anche la responsabilità.

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